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piccola posta
Proviamo a dire “la penultima volta” anziché “l'ultima”: è poetico e incoraggiante
Proposta ai disgraziati titolisti contemporanei per una riforma preziosa: basta dire l’ultimo intellettuale o l’ultima diva ogni volta che muore qualcuno. Sarebbe un modo invincibile di liberarsi della pena capitale, del ricattatorio ultimo desiderio e dell’ergastolo, ostativo o no
Ho un amico che non è stato bene, sta risalendo. Lui canta molto, di preferenza in castigliano, per esempio: “Como si fuera esta noche la ultima vez”. L’altro giorno scherzavamo su cose serie, e abbiamo deciso che, salvo quando non sia possibile se non a costo del ridicolo, sostituiremo all’aggettivo “ultimo”, “ultima”, singolare e plurale, l’aggettivo “penultimo”, “penultima”, eccetera. Era successo che quando il mio amico sembrava alla fine, la sua bravissima medica aveva detto: “Facciamo un ultimo tentativo…”. “Penultimo – mi era venuto di dire, di implorare quasi – facciamo un penultimo tentativo”. Dunque scherzavo ora con lui, che aveva appena commentato non so che frase: “Non è detto”. Eccoci: “Non è mai detta l’ultima parola” – se non è mai detta, vuol dire che l’ultima parola è ogni volta almeno la penultima. Il tema non è nuovo, semplicemente non è stato sistematizzato come merita, e ora ci pensiamo noi.
Era già la chiave di volta della descrizione del cambiamento intervenuto nella nostra società per la riduzione fisica e morale della classe operaia e per l’avvento della migrazione, che aveva usurpato senza colpa il titolo glorioso di ultimi: per risarcire i soppiantati se non del regno perduto, almeno della promessa del regno, veniva da dire “beati i penultimi”. (Non era una beatitudine, in verità, era la promessa agli ultimi di diventare i primi: sbagliata, sbagliata).
E il primo amore, che si può dire, anche se non è sempre chiaro quale fosse. Ma “l’ultimo amore” è davvero un’idea avara. La riforma è oltretutto preziosa ai disgraziati titolisti contemporanei che ogni volta che muore qualcuno – succede continuamente – lo chiamano l’ultimo: l’ultimo intellettuale, l’ultima diva, l’ultimo cantautore, a volte con “vero”, l’ultimo vero viaggiatore, l’ultima vera tessitrice, l’ultimo vero democristiano… Non è forse bello il precetto: vivi come se ogni giorno fosse il penultimo della tua vita? E i penultimi arrivati, non è più bello degli ultimi? – sono arrivati, quasi ambientati, ma non ancora del tutto: i vicini di casa.
E’ insopportabile, soprattutto detto a una bambina o a un bambino, “Che sia la prima e l’ultima volta!” – che sia la prima e la penultima, lasciare sempre una seconda occasione. La nostra proposta del resto è anche un modo invincibile di liberarsi della pena capitale e del ricattatorio ultimo desiderio, e dell’ergastolo, ostativo o no. Guardate che noi abbiamo un enorme vantaggio, con questa coincidenza fra ultimo e penultimo. Le altre lingue se lo sognano.
In generale la sostituzione è incoraggiante o obiettivamente poetica. Per esempio: “L’ultima volta”, detto troppo spesso a cuor leggero, anche quando vuol dire semplicemente l’ultima volta finora, senza impegno. Ma anche quando è impegnativa: “L’ultima volta che ho visto Odessa”, o “La penultima volta che ho visto Odessa”.
Provate. Io, se un giorno fossero liberalizzati gli stabilimenti balneari, in società col mio amico me ne aggiudicherei uno, solo per il piacere di chiamarlo “La penultima spiaggia”.