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Il ciclismo di Bahamontes era il modo di vita più vicino al mito

Adriano Sofri

In un mondo fatto tutto di salite, il campione morto a 95 anni non avrebbe avuto rivali. Era Sisifo rovesciato: svelto a portar su il proprio macigno, cauto e lento a rotolarlo giù

Lodo fra tutti il ricordo di “Federico” Bahamontes scritto ieri qui da Giovanni Battistuzzi. Il ciclismo, almeno il ciclismo di una volta, è il modo di vita più vicino al mito. E bisogna essere molto giovani, dunque belli, per credere agli eroi. Per la mia adolescenza Bahamontes era un eroe, compreso quel nome che sembrava voler dire venir giù dai monti, e prendere in giro la sua fobia delle discese, e invece voleva dire salire sui monti, scavalcarli. In un mondo che fosse tutto fatto di salite Bahamontes non avrebbe avuto rivali. Come l’albatro di Baudelaire, lui, l’aquila di Toledo, che volava verso il Puy-de-Dôme, in discesa, dicono le cronache, o le leggende, frenava addirittura con i piedi. Era Sisifo rovesciato: svelto a portar su il proprio macigno, cauto e lento a rotolarlo giù. Non avrei saputo dire se fosse vivo o morto quando, un mese fa, lessi che aveva compiuto 95 anni. Anche questa longevità si direbbe virtù di scalatori, se non ci fosse, all’altro capo del destino, il suo più grande maestro, Fausto Coppi.

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