piccola posta
Il gran guadagno della longevità lucida e gli amici con cui dissentire
Molti che conosco sostengono che bisogni stare dalla parte del pianeta minacciato, e rifiutarsi di prender parte a contese parimenti distruttive, Putin e Zelensky, l’occidente e le autocrazie. Mi abituo, è un frutto dei molti anni
Miei amici carissimi - pochi ma buonissimi – sostengono che bisogni stare dalla parte del pianeta minacciato, e rifiutarsi di prender parte a contese parimenti distruttive, Putin e Zelensky, l’occidente e le autocrazie. (L’ammiraglio Sokolov e il detenuto Kara-Murza?) Mi abituo, è un frutto della longevità, si finisce col dissentire reciprocamente su questioni che si credono essenziali. Con quelli che sono morti prima, non è successo. Con Mauro Rostagno, per esempio, carissimo allo stesso modo a tutte, a tutti. Ieri il presidente Mattarella l’ha ricordato di nuovo perché erano passati 35 anni dal suo assassinio. Noi che oggi siamo diventati così dissimili da noi stessi abbiamo avuto 35 anni di più per sparpagliarci.
Nel fine settimana ho guardato un po’ di televisione, per rimettermi al passo. Grazie a Propaganda live ho visto una ricapitolazione delle tante umanità che abitano Lampedusa, che non ho mai conosciuto dal vivo. Ho visto anche la telefonata fra un questore che credeva di essere ascoltato solo dal suo interlocutore, un agitatore locale, che la mandava a pieno volume. Il questore sbraitava, minacciava, poi chiudeva spiritosamente, per cattivarsi la simpatia solidale dell’interlocutore, col motto: “Cchiù pilu pe’ tutti!” Mi sarebbe dispiaciuto perderlo, e perdere Francesca Schianchi che ha detto: “Mi fa schifo!” Ho visto anche una striscia di Makkox (si chiama così) straordinariamente bella, fine e poetica. E ho ascoltato, con piacere, una canzonatura dei fenomeni che canzonano Elly Schlein per le parole che usa.
Un altro mio amico – l’amicizia è per sempre, salvi avvenimenti fatali – avrebbe riempito un intero numero della sua rivista con un saluto entusiasta all’allargamento dei Brics a Iran, Emirati, Arabia saudita eccetera, che “dimostra che il tentativo americano e occidentale di imbrigliare il cambiamento nella morsa di una nuova guerra fredda tra il ‘blocco delle democrazie’ e i paesi autoritari è sostanzialmente destinato a fallire…”. A riferire il contenuto della rivista era Stefano Cappellini, dal quale mi guardo da quando, un paio di anni fa, ha scritto che praticamente io avevo confessato l’omicidio di Calabresi, una bestialità che nemmeno il più spericolato dei miei nemici aveva saputo escogitare. Leggerò l’originale. Però qui le citazioni di Cappellini sembrano piuttosto probanti. “Le implicazioni del conflitto in Ucraina meriterebbero ben altra disamina che la semplice distinzione tra aggressore e aggredito”, scrive un collaboratore, Marco Carnelos, “ex ambasciatore in Iraq”. Già: come mai non è più ambasciatore in Iraq – né altrove? Ne ho viste, infatti.
La longevità lucida è un gran guadagno, per quanto più o meno narcisisticamente la si deprechi e si mostri di invidiare chi al vento non vide cadere che gli aquiloni. Vedere come va a finire è il più umano dei desideri. Subito dopo viene il desiderio di vedere come andò. In questi giorni, chissà perché, mi torna in mente il biglietto di commiato di Luigi Tenco: “Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda in finale una canzone come ‘Io tu e le rose’”. Sanremo ’67. Era già tutto chiaro. Il Sessantotto seguì, come l’intendenza.