Piccola Posta
Isis, Hamas, Cina, Russia. Il valzer caotico che cela una guerra di potenza
L'odio per Israele per il miraggio di riconquista di Gerusalemme hanno fatto accantonare le rivalità interne all’islam
I miliziani di Daesh, il sedicente Stato islamico, erano delinquenti rotti a qualunque misfatto, contrabbando d’arte e di petrolio, smercio di droga, compravendita di schiave, ma ostentavano i vessilli neri e l’applicazione brutale e grottesca della sharia come la propria ragione di esistenza. Fomentavano e appoggiavano attentati terroristici nelle città europee, pubblicavano vedute di piazza San Pietro con la bandiera nera sventolante sull’obelisco, importavano e riesportavano ragazze e uomini musulmani dall’Europa e dall’occidente, ma si volevano prima di tutto sunniti, della propria peculiare interpretazione della sunna, e il loro nemico principale, prima degli infedeli – cristiani, ebrei, credenti e miscredenti di ogni genere – erano gli eretici e gli apostati, i falsi musulmani, e irriducibilmente gli sciiti. L’Iran degli ayatollah (e la maggioranza sciita irachena e la Siria alawita…) era il loro nemico giurato. Nei quasi quattro anni di vigore del Califfato – che lezione, per la più colossale alleanza internazionale! – fecero strage di yazidi, di sciiti, di curdi, di sunniti dissidenti, di cristiani, di ebrei... Una condizione come quella attuale, del sunnita Hamas – e del disponibile Jihad islamico – asservito, sia pur da servo-padrone, all’Iran della teocrazia sciita e alle sue propaggini, Hezbollah in primo luogo, perfeziona un mutamento enorme nella geografia politica del mondo musulmano. L’Isis e Hamas, sunniti ambedue, furono già rivali acerrimi, ma l’Iran sciita (e non arabo) e l’Iraq arabo di Saddam, dominato dalla minoranza sunnita, si fecero una guerra feroce per nove anni.
Ora l’odio per Israele e il miraggio della riconquista di Gerusalemme ha fatto accantonare le rivalità interne all’islam che erano il primo movente della guerra santa, e messo dalla stessa parte l’Iran e l’avanguardia terrorista antisemita usurpatrice dell’irredentismo palestinese. Israele sta commettendo un delitto irreparabile a Gaza, e i contabili di Hamas vedono crescere il saldo delle vittime dimenticandosi ormai di dichiararle martiri, contenti di allungare la colonna delle entrate. E dell’investimento che va perfino oltre la loro durata.
È uno, forse il principale, dei colpi di scena della contemporanea guerra di civiltà, espressione che, come quella della guerra di religione, distorce il suo senso più autentico, che è quello della guerra di potenza. Un gran valzer dallo spettacoloso scambio di dame e cavalieri. Il più rivelatore, del resto. L’Iran che foraggia Putin per l’Ucraina, asseconda la Cina per concedersi un giro con Riad, cambia di spalla i razzi spigionati degli Houthi, allenta le briglie alle milizie irachene, ha due obiettivi vitali, all’improvviso straordinariamente coincidenti: cancellare Israele e liquidare la ribellione delle donne e dei giovani. La Russia che manda in prima linea i mercenari della Wagner (salvo l’eccesso di zelo), assegna la seconda linea al bruto Kadyrov, festeggia la fratellanza con Kim Jong-un, e riceve al Cremlino gli emissari di Hamas – Jack lo Squartatore è morto. Il sultano della Turchia, il secondo esercito della Nato, che pronuncia l’elogio del patriottismo liberatore di Hamas e subito dopo, nemmeno il tempo di lavarsi le mani, telefona al papa Francesco. Il disordine non è mai stato così spropositato, sotto il cielo. La situazione non è mai stata così orribile. Tuttavia, nella famosa nebbia di guerra, si comincia a vederci chiaro.