Piccola posta
Ecologia e occidente. È ora di decidere a che prezzo batterci per il lusso delle nostre libertà
Sta davanti ai nostri occhi il legame necessario, insostituibile, fra salvataggio ecologico e democrazia. Petrolio e autocrazia sono da sempre indissolubilmente legati
Oggi scrivo per qualche mio amico. Per quelli, fra i miei amici, che pensano davvero che la questione ecologica, cioè la questione della vita umana e degli altri animali sul pianeta, sia essenzialmente “ideologica”, e che i passi apparenti verso un suo trattamento “realistico” vadano salutati come una liberazione dall’orpello utopistico e fondamentalista eccetera. Richiamerei l’essenziale. Petrolio e autocrazia (dittatura, soggezione di bambine e donne, dinastia manesca, superstizione propria e compravendita di scienza e tecnologia altrui, cambio d’abito fra sultanato e Londra) petrolio e autocrazia, ripeto, sono da sempre indissolubilmente legati. All’inizio dei 70, quando i regimi che si ritenevano addomesticati morsero la mano, la Norvegia (e, per il condominio sul Mar del Nord, il Regno Unito) si era accorta di disporre del petrolio. Era la sorella povera e snobbata della Svezia, si era tenuta alla larga dall’Unione europea per arginare la licenza di ubriachezza, aveva anche da povera una dignitosa tradizione terzomondista, diventò una gran protagonista del mercato mondiale del petrolio, l’eccezione che conferma la regola. Gli Stati Uniti avevano la loro quota, usata ancora per i bisogni interni. All’opposto, la democrazia, chiamiamola pure la democrazia reale se non volete sporcarvi troppo le orecchie, le risorse energetiche le comprava a prezzi oscillanti ma sempre sufficienti ad alimentare il suo progresso scientifico e industriale. E il suo armamento, largamente esportato alle autocrazie.
Ora i nodi sono venuti al pettine. Non è la prima volta. C’era stato il 1973, ricordato solo per la nostalgia delle domeniche a piedi, ma appena si è affacciato lo spettro dei dì feriali a piedi per carenza di rifornimenti – l’alternativa fra la pace e l’aria condizionata, che faceva così ridere – fu il si salvi chi può.
Ora l’illusione ottusa di Putin, questione da sbrigare alla svelta, come in Georgia, come in Crimea, ha prima persuaso l’occidente di esistere ancora, e che ne valesse la pena. Poi, dopo il primo contraccolpo, l’altro mondo sparpagliato, quello che non è occidente se non nelle sue donne e nei suoi dissidenti, che riserva al boia, ha intravisto l’occasione per mettersi insieme, sia pur alla rinfusa. Aveva dalla sua due risorse decisive: la mano libera sul trattamento delle opposizioni, niente stato di diritto, niente intromissioni di leggi internazionali, niente limiti alla liquidazione degli individui riluttanti; e “le fonti fossili”, il petrolio, il gas.
La Cop 28 a Dubai, comunque vada la compilazione finale, è la vera festa del Nuovo Mondo. Della nuova semi-fratellanza fra Riad e Teheran, del rianimato benzinaio con l’atomica russo, del Qatar del football, dello scandalo di Bruxelles, del patrocinio di Hamas e della mediazione con Hamas, e così via, fino all’iscrizione di Lula all’osservatorio dell’Opec, e al tempestivo referendum di Maduro sui pozzi della Guyana – e la Cina per tutti.
Le cose si vanno dispiegando con una limpidezza didascalica. Non dirò che tutto torna, perché grazie al cielo mai tutto torna. Però quasi. Si è dubitato a lungo che il soccorso alle ferite dell’aria che respiriamo avesse bisogno, per prevalere sullo sguardo corto e sugli interessi particolari, di una mano forte, di un autoritarismo a fin di bene – una Singapore di polizia e pulizia. Sta davanti ai nostri occhi il legame necessario, insostituibile, fra salvataggio ecologico e democrazia. L’ecologia, ci dicono – e lo dicono emiri e sceicchi che trasformano in oro nero tutto quello che toccano, e scoppiano di salute – è un lusso dell’occidente. E intendono che tutto quello che segue, l’intendenza dell’occidente, a cominciare dalla libertà delle donne e dalla padronanza di ciascuna persona sul proprio corpo, è un lusso, cioè un vizio, e loro sono la polizia della virtù. La libertà è, infatti, un lusso. Finora abbiamo, noi, all’ingrosso, fatto come se potessimo permetterci di pagarcela sul mercato universale, come quando pretendiamo di ricomprare il nostro eccesso di emissioni dai paesi che ne difettano. Ora dobbiamo decidere a che prezzo batterci per conservare e magari estendere il lusso delle nostre libertà, e farle sembrare non solo desiderabili, com’è già, ma anche vere, alle donne-vite-libertà del dispotismo orientale e del petrolio senza scadenza. Non congratulatevi di una presunta ragionevolezza da Dubai sull’ideologia verde: fa tutt’uno con la capitolazione dell’Ucraina, con la brutalità invasata di Hamas, con gli dei che mostrano di voler perdere Israele rendendolo furioso. Con Trump, QAnon, Orbán, e la rettrice della Penn.