piccola posta
I messaggi di Navalny, Babbo Natale che fa i regali ai cattivi
Nel lager artico a duemila km da Mosca, non può impensierire i giorni di Putin, chissà le notti. L’ironia è la risorsa dell'oppositore contro l’infima misura del satrapo del Cremlino
Una Russia può vantare di avere un regime carcerario dei più ripugnanti della terra, e lo ha di nuovo largamente adibito, oltre che al lavoro forzato, al ricattatorio reclutamento per la guerra. Un’altra Russia può ancora vantare prigionieri fra i più lucidi e coraggiosi della terra. Alexey Navalny è il più famoso fra loro. I prigionieri, specialmente quelli resi più eminenti per il proprio comportamento e per l’attenzione che riescono a riscuotere dall’universo dei liberi, sanno di doversi guardare dalla lamentela, da ogni tono che li faccia apparire vittime invece che resistenti, combattenti. Si obbligano a farlo per i propri cari e per il pubblico.
Anche la retorica eroica è una tentazione da cui guardarsi, non si può stare nel bilico di una galera da monumenti. La risorsa è l’ironia, serve a dire che la persecuzione non li ha spezzati, a mostrare la infima misura del satrapo del Cremlino rispetto alla dignità di uno che trascina i suoi passi in una cella. L’ironia va a sua volta misurata, che non suoni come iattanza o come un espediente della frustrazione. Ieri, dopo un’imprevista visita del suo avvocato nella nuova colonia penale che gli è stata assegnata dopo un trasferimento segreto – “sballare”, dicono i detenuti – Navalny ha potuto trasmettere una serie di messaggi. Fosse anche solo per il tempo di auguri e il luogo da cui arrivano, vanno letti e inoltrati.
“Sono il vostro nuovo Babbo Natale. Dunque, ora ho un cappotto di pelle di pecora, un colbacco e presto avrò un paio di valenki /i tradizionali stivali russi di feltro/. Mi sono fatto crescere la barba durante i 20 giorni del mio trasporto. Sfortunatamente non ci sono renne, ma ci sono enormi cani da pastore soffici e molto belli / i cani da guardia dei carcerieri, naturalmente/. E la cosa più importante: ora vivo sopra il circolo polare artico. Nel villaggio di Kharp su Yamal. La città più vicina ha il bellissimo nome di Labytnangi.
Non dico, come Babbo Natale, ‘Ho-ho-ho’, ma ‘Oh-oh-oh’, quando guardo fuori dalla finestra, dove posso vedere la notte, poi la sera e poi ancora la notte. I 20 giorni del mio trasferimento sono stati piuttosto estenuanti, ma sono ancora di buon umore, come si addice a Babbo Natale. Mi hanno portato qui sabato sera. E sono stato trasportato con tale delicatezza e su un percorso così strano (Vladimir-Mosca-Chelyabinsk-Ekaterinburg-Kirov-Vorkuta-Kharp) che non mi aspettavo che qualcuno mi trovasse qui prima di metà gennaio. Ecco perché sono rimasto molto sorpreso quando ieri mi hanno detto: ‘C’è qui per te un avvocato’. Lui mi ha detto che mi avevate perso e alcuni di voi erano addirittura preoccupati. Grazie mille per il vostro sostegno!
Non posso ancora intrattenervi con storie sugli animali polari perché fuori dalla finestra riesco a vedere solo la recinzione, che è molto vicina. Sono andato anche a fare una passeggiata. Il cortile è una cella vicina, appena più grande, con la neve per terra. E ho visto un convoglio, non come nella Russia centrale, ma come nei film: con mitragliatrici, guanti e stivali di feltro. E con gli stessi bellissimi e soffici cani da pastore. Comunque, non preoccupatevi per me. Sto bene.
Grazie ancora a tutti per il sostegno. E buone vacanze! Visto che sono Babbo Natale, probabilmente vi starete interrogando sui miei regali. Ma io sono un Babbo Natale a regime speciale, quindi solo chi si è comportato molto male riceverà dei regali”.
A Navalny sarà dunque dato un colbacco, non ci sono immagini, ma per regolamento nella sua nuova residenza ai detenuti maschi vengono rasati i capelli. Il modo per umiliarli, e per ricordare che l’autorità è coincisa per secoli con il dispotismo sulle capigliature, che oggi è la spina femminile nel fianco dei tetri alleati di Putin, i turbanti di Teheran. A Kharp, avvertono le notizie di contorno, la temperatura di Capodanno si abbasserà oltre i 25 gradi sotto lo zero. A quella latitudine il buio della notte si alterna con l’ombra della sera prima di ridiventare buio. Navalny conoscerà bene i classici racconti sul Gulag, dove si trova il nome tecnico della malattia, emelaropia, la “cecità notturna”, che per lo più è genetica, ma è endemica nei soggiorni in luoghi male e poco illuminati. La Russia di Putin tiene alla continuità: un po’ più a est finisce l’Europa e c’è Vorkuta e le miniere di carbone in cui i nemici del popolo faticavano e crepavano. Il nemico del popolo Navalny si chiama tecnicamente per la giustizia russa “estremista e terrorista”, per questo è stato condannato definitivamente a 19 anni di galera, specificando: la più dura. Nelle due settimane in cui non si aveva notizia di lui, e si aveva ragione di temere, il noto portavoce, Dmitri Peskov, aveva dichiarato che “il Cremlino non ha la possibilità, né il diritto o il desiderio di tracciare il destino dei condannati”. Il Cremlino ha infatti una sua peculiare idea dell’ironia. Ricordate che Navalny, avvelenato col Novichok in un viaggio aereo e salvato da un imprevisto atterraggio di fortuna, poi trasportato in Germania e là curato, aveva preso la straordinaria decisione di rientrare in Russia sapendo che lo aspettavano, nell’ipotesi migliore, anni di “colonia penale speciale”. Però prima, agosto 2020, dalla Germania, mise a segno un colpo senza precedenti nel paese degli scherzi telefonici di stato: telefonò a uno degli agenti dell’Fsb autori dell’avvelenamento fallito facendosi passare per un superiore e ottenendone una confessione piena e grottesca. (Domanda: “E su quale capo di vestiario vi siete concentrati col Novichok? Quale capo era più a rischio?” Risposta: “Le mutande”). Allora fu Putin a fornire un esempio della sua ironia: se fossi stato io, disse, non avrei fallito.
Navalny, 47 anni, è sempre stato audace: all’inizio della sua carriera di oppositore, fondata soprattutto sulla denuncia della corruzione, sostenne opinioni ultra-nazionaliste e xenofobe, che è venuto correggendo radicalmente. Dal carcere ha duramente condannato la guerra d’Ucraina. Quei precedenti hanno indotto osservatori dei nostri paesi, buona fede o no (no, spesso), a lesinare solidarietà e ammirazione per Navalny. La stessa Amnesty, dopo averlo definito “prigioniero di coscienza”, gli revocò la definizione, motivando con le sue antiche dichiarazioni “di odio”, salvo provvidenzialmente ripristinare la definizione e chiedere scusa, per l’errore, e per il favore involontario reso alle autorità russe in un momento cruciale della persecuzione.
L’inaspettata notizia dal lager artico ha a che fare con l’allarme internazionale intorno alla sparizione di Navalny, e alla dura protesta del dipartimento di stato americano. Così come la nuova destinazione aveva a che fare con la candidatura di Putin a restare Putin nell’elezione del 17 marzo 2024, nella quale Navalny ha invitato i russi a votare per chiunque tranne che Putin. A 30 gradi sotto zero, a duemila chilometri da Mosca, pur con un benedetto paio di valenki penitenziari, Navalny non può impensierire i giorni di Vladimir Putin. Chissà le notti.