Piccola posta
Succede di non morire per caso in Russia. Stavolta è toccato a Lev Rubinštein
I sentimenti degli ucraini sono comprensibili, ma sono convenienti? L'ostentato rigore nella rivendicazione esclusiva della lingua ucraina e nel ripudio del russo
Leggo che nel 2000, secondo anno dell’èra di Putin e dell’operazione speciale cecena, Lev Rubinštein commentò il ritorno in commercio delle famose sigarette “Belomor”, nate per celebrare il canale del Mar Bianco, ora munite di filtro: “Il socialismo dal volto umano: un Gulag col filtro”. Lev Semyonovich Rubinštein, ebreo russo, poeta, filologo, bibliotecario, attivista, oppositore – prima e dopo Putin – è morto domenica a Mosca, a 76 anni, sei giorni dopo essere stato investito da un’auto. Succede di non morire per caso, in Russia. Le autorità competenti hanno informato che il guidatore non ha rallentato davanti all’uomo che attraversava la strada, e che aveva compiuto 19 violazioni al traffico stradale negli ultimi 12 mesi. Si può dire che fosse allenato. Ma sarebbero mere illazioni. La figlia di Rubinštein, Maria, ha scritto solo: “Mio padre è morto oggi”. Vale la constatazione di Memorial, che al poeta era stata vicina e oggi è in esilio: “La sua tragica morte nel gennaio 2024, alla vigilia del secondo anniversario della catastrofe, suona amaramente simbolica”. Rubinštein era stato dall’inizio durissimo sulla guerra “criminale” contro l’Ucraina, e le “menzogne” del potere. “E’ molto difficile per una persona rassegnarsi a essere cittadino di uno stato che sta conducendo una guerra di aggressione”. Rivolto agli ucraini, aveva detto: “Cercate di perdonarci per il fatto che non abbiamo avuto abbastanza forza o volontà per fermare i nostri pazzi, che sono pronti a coprire il nostro paese, il mio paese, di una vergogna così impensabile, che a lavarla via saranno necessari gli sforzi di più generazioni”.
La morte di Rubinštein ha avuto una vastissima risonanza in tutto il mondo, e anche in Italia, dove tuttavia, se non sbaglio, non è stato tradotto, a differenza che in inglese, francese, tedesco e svedese, salve alcune versioni in riviste di poesia. Io, che ne scrivo, ne ero del tutto ignorante, e uso i miei soggiorni ucraini come università per la quarta età. Vorrei mostrare come posizioni nette quali quelle di Rubinštein sull’Ucraina, oltre che sulla repressione in Russia, sulle leggi anti lgbt, sui prigionieri politici, ripropongano la questione dell’atteggiamento ufficiale ucraino. Che è stato di ripudio di tutto ciò che venisse dalla Russia, a cominciare dalla lingua, e comprendendovi un disinteresse per l’opposizione e per le stesse posizioni di solidarietà con l’Ucraina aggredita. Il Rubinštein che chiede perdono agli ucraini per la vergogna di cui si copre la Russia è lo stesso che conosce a memoria Pushkin (e Mandel’stam) e predilige Tolstoj, i cui nomi vengono spesso rimossi in Ucraina. I sentimenti di una nazione che ha conosciuto un passato di oppressione e persecuzione e che viene aggredita sono comprensibili. Sono giusti? E sono convenienti?
Pochi giorni fa l’autorevole rappresentante permanente dell’Ucraina all’Onu, Sergiy Kyslytsya, che padroneggia cinque lingue, è intervenuto al Consiglio di Sicurezza. In polemica con “il russo, lingua di guerra”, che i delegati ascoltano quotidianamente dal rappresentante russo, ha parlato in francese. Ha ricordato che era la lingua “che i nobili dell’impero russo parlavano in casa prima del colpo bolscevico, che i diplomatici russi parlavano prima dell’avvento dei boscevichi, che conservano la loro presa sul Cremlino”. Il russo, ha detto, “è la lingua in cui gli invasori hanno ricevuto l’ordine di scatenare l’aggressione totale contro l’Ucraina. E’ la lingua che le vittime sentono quando vengono stuprate davanti ai loro famigliari. E’ la lingua che tanti civili ucraini ascoltano prima di essere giustiziati”. Kyslytsya ha invitato la delegazione russa a ricorrere all’interprete dal francese, “in omaggio al contributo che Francia, Svizzera e molti altri paesi amanti della pace hanno offerto alla pace e alla sicurezza”.
Immagino che il delegato ucraino abbia inteso svolgere una provocazione esemplare ai colleghi-nemici russi, ma è difficile a un lettore normale, anche il più solidale con la resistenza ucraina all’aggressione, come mi ritengo, capire la sua motivazione. Il russo, per restare ai suoi esempi, è anche la lingua in cui una gran parte delle cittadine e dei cittadini ucraini (Volodymir Zelensky compreso) ha ascoltato le prime parole materne, o ha pronunciato le proprie parole d’amore, o ha pregato o salutato la vita che le sfuggiva in una trincea o in una strada bombardata. Questo ostentato rigore nella rivendicazione esclusiva della lingua ucraina e nel ripudio del russo, di quello della poesia e della letteratura e della lingua quotidiana di tante e tanti ucraini, regalato a un regime brutale e liberticida che se ne crede padrone, è un modo di ferire e dividere una popolazione che è al contrario unita nell’amore alla propria libertà. Che abbia deciso di fare dell’ucraino la propria lingua, come succede per una bandiera oltraggiata, o di tenersi il proprio russo materno e le proprie poesie, canzoni e preghiere.
In un’intervista del 2018 a un sito slovacco (magdamag.sk), Rubinštein aveva detto: “Gli anni ’90 sono stati il periodo più libero dell’intera storia della Russia. Arrivammo a pensare che la Russia potesse diventare una società europea. Naturalmente, poi si rivelò un errore”. E quando succederà? – gli chiesero. Lui, ridendo: “Bella domanda. Se solo lo sapessi… Ma non voglio fare previsioni qui, specialmente quando si tratti della Russia, perché la Russia è sia orribile che bella, e qualunque cosa può avvenire”.
Poco fa aveva commentato il capodanno. “Quello che auguro a tutte e tutti voi è una cordiale curiosità. Specialmente la curiosità per tutto ciò che sia diverso, incomprensibile e nuovo. Proprio così, quello che è nuovo. Fin da quando ero bambino, nella frase fatta ‘anno nuovo’, è su questa parola che ho messo l’accento: ‘nuovo’.”
Rubinštein è morto a mal punto, ma aveva visto qualcosa succedere. “Io e i miei amici più cari eravamo convinti che questa noiosa melma sovietica ci sarebbe rimasta addosso per sempre. Eravamo pronti a vivere in questa merda per sempre. Ma è successo il contrario. Così come nella giurisprudenza, esistono dei precedenti. Se è potuto succedere una volta, succederà di nuovo”.