Piccola posta
Quello che era già successo in Ucraina, e che non avevamo visto
Ogni giorno un allarme nuovo e colossale: il futuro appare nero. Ma forse ci sono cose peggiori, e appartengono al passato
Ieri notte mi ero messo a leggere in fretta e furia un saggio sulla lingua bashkira, turco-tatara, sull’alfabeto – passato e ripassato dall’arabo al cirillico, dal turco al latino – e sulla sua letteratura. Non volevo farmi cogliere ancora impreparato, se le cose fossero andate avanti. I bashkiri non li avevamo sentiti arrivare, come si dice. Poi ho pensato a quante cose non abbiamo sentito arrivare.
L’invasione russa dell’Ucraina, per esempio. Tutti i docenti, di ruolo o volontari, di geopolitica l’avevano esclusa con una certa irrisione. Ma le cantonate appartengono alla loro professione, che ne esce infatti rafforzata. Però anch’io non avevo creduto a una simile enormità, nonostante che un po’ di esperienza e qualche informazione sulla Russia post gorbacioviana l’avessi intascata.
Ma benché lo studio e l’informazione sullo stato del mondo, dei mondi, non sia mai stato così ricco e dettagliato, e le mappe di Google siano capaci di espugnare le località più appartate, gli avvenimenti imprevisti e spiazzanti non fanno che arrivare. Perfino dove gli occhi sono per eccellenza millimetricamente puntati, come nel 7 ottobre del rave e dei kibbutzim – di un’altra idea della vita.
Il fatto è che ora, forse perché chi si è scottato con la minestra calda soffia anche sulla fredda, non passa giorno senza che si alzi un allarme stentoreo e colossale. La Germania avverte che la Russia di Putin potrà muovere guerra all’Europa unita entro il ’24. L’Estonia avverte di sentirne già il fiato sul collo. In Polonia si immagina che una Russia vittoriosa in Ucraina progetti di invadere la Polonia (frase fatta, chi non ha invaso la Polonia?) con truppe russe travestite da ucraine, o con truppe bielorusse travestite da bielorusse. Che fare di allarmi di questa portata? Che fare di eventi che destituiscono dalle fondamenta la nostra psicologia da dopoguerra, oltre che le sue condizioni materiali?
La lezione più amara però sta altrove. Sta nella rivelazione di quello che era già successo, e che non avevamo visto – non abbastanza: minimizzare è il più frequente modo di non vedere. Gli houthi vittoriosi in Yemen – una guerra civile dopotutto, uno dei due doveva pur vincere. Di quanto si erano allargati i coloni in Cisgiordania. E i baluci, il paese dei lapislazzuli e dei qanat sotterranei, a cavallo di Afghanistan e di Pakistan e Iran, che “d’improvviso” si mettono a bombardarsi, cioè a bombardare i rispettivi baluci.
Torno ai bashkiri. Ne sapevo quello che sta nella Figlia del capitano e poco più. Ora ho trovato una rappresentazione drammatica su Rudolf Nureyev, sui suoi ultimi anni, di Azat Abdullin: bashkiri, il biografo e il ballerino. Vallo a immaginare.