(Bargellomusei)

Piccola posta

Orsanmichele è l'ombelico del mondo di cui quasi nessuno s'accorge

Adriano Sofri

La magnifica bellezza del "granaio di Firenze". Piani di assoluta meraviglia: dalle statue originali alla vista unica della città. Purtroppo manca un'ascensore, che impedisce alle persone disabili di arrivare all'ultimo piano

Vorrei fare un sondaggio fra chi è venuto a Firenze almeno una volta, o ci vive: la domanda è se abbiano visitato Orsanmichele. Intanto rispondo io: sì, certo, avevo visitato più volte la chiesa – il pianoterra, la Madonna di Bernardo Daddi, il formidabile tabernacolo che l’Orcagna le costruì attorno, e il resto. Avevo girato attorno all’edificio ogni volta che avevo un ospite – poco fa con Andrée, pronta ad afferrare quella forza teatrale. Ma non ero mai salito al primo piano e al secondo piano. Un mese fa, dopo quasi due anni di lavori, Orsanmichele splendidamente rinnovato e restaurato ha riaperto, chiesa e piani superiori, museo e vista panoramica di Firenze come da nessun altro punto. Orsanmichele è in centro, anzi è il centro. Un po’ più in là c’è la piazza cristiana, Santa Maria del Fiore e il Campanile di Giotto e il Battistero, e il Museo dell’Opera del Duomo. Un po’ più in qua la piazza civile, la Signoria, la Loggia dei Lanzi, gli Uffizi. Giusto di fronte il Bargello.

“Il fulcro della vita civile e religiosa della città”, ha detto di Orsanmichele la direttrice uscente Paola D’Agostino. L’ombelico del mondo dunque, ma proprio per questo suo stare in mezzo i più passano oltre, dando un’occhiata di lato. E poi c’è la notizia, la prima, e spesso l’ultima, che tutti sanno, che quel palazzo magnifico di bellezza e dimensione era “il granaio di Firenze”, e si pensa che Firenze si concedeva dei lussi grandiosi, ma dopotutto un granaio non è che un granaio, e ancora quattro passi e c’è il Palazzo Vecchio, dove se la vedevano testa a testa Michelangelo e Leonardo. In realtà, a metà del Trecento magazzino e mercato delle granaglie avevano già traslocato, sostituiti dalla chiesa. All’inizio del Quattrocento le maggiori corporazioni delle Arti ottennero di costruire sui quattro lati del palazzo 14 tabernacoli, ciascuno dei quali ospitava nella sua nicchia la statua o le statue del loro protettore, tre in bronzo, le altre in marmo. Scolpite da Lorenzo Ghiberti, Nanni di Banco, Donatello, Brunelleschi, Lamberti, Piero di Giovanni, Baccio da Montelupo, Giambologna, Verrocchio... Per ripararle dalle intemperie le statue alla fine del secolo scorso vennero collocate all’interno, al primo piano (tranne la più celebre, il San Giorgio di Donatello, al Bargello dal 1891), e sostituite da copie. Quest’ultima ristrutturazione sembra aver condiviso l’opinione di un mio caro amico che da sempre proclama, con gli occhi lustri, che “Orsanmichele è l’Acropoli, è il Partenone di Firenze”.

Le persone che passano da via Calzaiuoli per andare dal Duomo alla Signoria o viceversa – cioè tutto il mondo – si trovano davanti la bussola di vetro d’ingresso della biglietteria (8 euro) e gratis, semplicemente fermandosi, quasi a portata di mano, il meraviglioso marmo posteriore dell’Orcagna con la morte e l’assunzione della Madonna. Col biglietto, si torna fuori e si fa il giro, per entrare dalla parte opposta, sulla via dell’Arte della Lana. Il piano terreno è impressionante per lo spazio in lungo e in largo, e asimmetrico – il tabernacolo, un altare di Sant’Anna – e una dilapidazione di affreschi ora felicemente illuminati. (Raccomando, a costo del torcicollo, la Giuditta sulla volta, un po’ scolorita ma fiera e ritta, una spada nella destra e una picca nella sinistra con in cima la testa di Oloferne). Da un altro portone si esce e si rientra di fronte nel Palazzo dell’Arte della Lana, che è la sede storica della Società Dantesca e fa da tramite ai piani superiori di Orsanmichele, attraverso un ponte sospeso che fu già del Buontalenti. Vi si sale da un esigente scalone.  

Al primo piano, le statue originali sono collocate nel punto e all’altezza in cui si trovavano nelle nicchie esterne. Su piedistalli e fondali chiari e piani, dunque non riproducendo le nicchie curve, ma ottenendo un gioco d’ombre. Ai miei anni si leggeva il Marangoni di “Saper vedere”, che spiegava come la rimozione del San Giorgio aveva mostrato che Donatello, benché sapesse che la collocazione in nicchia l’avrebbe resa invisibile, aveva perfettamente rifinito anche la parte posteriore della statua. Ora ho visto che Nanni di Banco non ha fatto lo stesso coi Quattro Santi Coronati. La bellezza di queste grandi statue non si può intendere senza provarla, dunque non dirò se non il piacere di vedere dipanarsi come al rallentatore -cioè da fermo, lento è il passo dello spettatore – una evoluzione che approda a una rivoluzione.

L’ultimo piano, l’altana, è resa quasi trasparente dalle bifore alte 7 metri che corrono lungo tutto il perimetro, e ovunque si giri lo sguardo – “si domina tutta Firenze”, direbbe qui chi credesse che Firenze si lasci dominare. Orsanmichele oltretutto ebbe un suo impulso decisivo dalla cacciata del Duca d’Atene, Gualtiero di Brienne. Che era stato chiamato a mettere a cuccia guelfi e ghibellini, ebbe i pieni poteri, se li prese davvero e dieci mesi dopo, 1343, giorno di Sant’Anna, fu cacciato, in tempo per non essere linciato.

Il mio smartphone aggiorna passi e piani saliti, e mi ha certificato una camminata asimmetrica imbarazzante. Sono arrivato in cima, col fiato cortissimo: l’ho fatto in compagnia di una signora americana a occhio, temo, più vecchia di me, ma dallo sguardo più fiero, e col bastone. E’ imbarazzante cantare la bellezza delle statue e delle finestre e avvertire che una persona disabile non può arrivarci. Il museo non ha infatti un ascensore, e non saprebbe dove farlo passare. La Società dantesca naturalmente ne ha uno suo. E’ un istituto insigne, fondato alla fine dell’Ottocento, diretto da grandi studiosi come, ai miei anni, Gianfranco Contini, e da amministratori come, poco fa, Eugenio Giani. Al secondo piano di Orsanmichele si tenevano le Lecturae Dantis. Il nuovo transito parziale attraverso il suo corridoio dev’essere un ingombro ma anche un dono per la Società. Chi più di lei sensibile allo scender e salir per l’altrui scale?

Di più su questi argomenti: