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Piccola posta

Le donne dello Stato islamico, testimoni del sadismo perverso dei loro aguzzini

Adriano Sofri

Non erano considerate mogli, ma bottino di guerra, schiave. Dopo la caduta del Daesh, smessi i panni di scena, sono diventate le più inesorabili testimoni della tempra dei loro padroni

Se si riporti il terrorismo al suo significato originario, e letterale, di usare una violenza particolare per incutere un terrore generale, Daesh, lo Stato islamico, ne offrì una versione senza precedenti. Della sua efficacia non faceva parte solo l’efferatezza, il sadismo di macelleria, congiunto all’abilità della messinscena, ma l’aura di mistero, segretezza e impenetrabilità che ne accompagnarono la comparsa iniziale, così ben rappresentata dall’uniforme tenebrosa. Strada facendo, come succede a chi fa il passo più lungo della gamba, a chi troppo in alto sal, l’aura è andata svanendo e ha mostrato, sotto il fagotto dell’uomo nero, uomini, e, com’era inevitabile, una vera feccia di uomini maschi. Mascherate anche loro nei sudari neri, salvo che in qualche illusa costruzione cinematografica o letteraria, le donne, le mogli, le schiave, si intuivano fanatiche o terrorizzate. Dopo la caduta, smessi i panni di scena, sono diventate le più inesorabili testimoni della tempra dei loro padroni. Le donne yazide di tutte le età avevano radunato testimonianze sovrabbondanti in numero e qualità per una corte internazionale competente al crimine di genocidio: perché non sia avvenuto è un punto assai attuale. 


Il caso personale più esemplare è quello dell’avventizio che volle farsi califfo, da detenuto rilasciato dal carcere iracheno-americano, Abu Bakr al Baghdadi. Ebbe (almeno) quattro mogli. Prima moglie: Asma Fawzi al Qubaisi, una cugina di secondo grado che gli ha dato cinque figli. L’aveva sposato a Baghdad, nel 1999, quando lui era uno studente di Diritto islamico. Era vissuta invisibile, si era detto che fosse morta con lui nel 2019, a 40 anni. Seconda moglie: Israa Rajab Mahal al Qaisi, anche lei irachena, gli avrebbe dato un figlio, ed è morta nel 2019, indossando abiti da “martirio”. Terza moglie: Saja al Dulaimi, siriana, nata da una potente tribù sunnita, era stata liberata una prima volta nel 2014 da Assad in uno scambio con suore rapite, poi, nel 2016, dal Libano. Era già vedova di un qaidista. Ai libanesi dichiarò di averlo conosciuto via chat, e di averne presto divorziato perché era povero e incapace di versare gli alimenti per la figlia, e di aver saputo solo dopo chi fosse nello Stato islamico: spiritosa. Lo descrisse allora come “un padre premuroso”. Disse allo svedese Expressen di voler vivere in Europa, “non in un paese arabo”. Quarta moglie ipotetica: una cittadina tedesca, Diane Kruger, sposata quindicenne a Raqqa. Di un altro paio si è vociferato. 


Una adolescente yazida raccontò al Guardian di essere stata violentata dal califfo, e di aver visto la cooperante americana Kayla Mueller in lacrime dopo essere stata stuprata (poi fu assassinata). E che una volta fu riportata da lui e si aspettò nuove violenze, e invece il califfo la fece accomodare al suo fianco e le mostrò al computer la decapitazione di James Foley, per vedere l’effetto che le faceva… 
Dopo la conquista di Sinjar, nel 2014, e lo sterminio degli uomini yazidi e la cattura delle bambine e delle donne, Abu Sayyaf, il “ragioniere dell’Isis”, fu incaricato di amministrare assegnazioni e compravendita delle schiave yazide. Morì nel 2015. La sua giovane vedova, incarcerata a Erbil, Nisrine Assad Ibrahim, alias Umm Sayyaf, che ebbe una parte decisiva nell’individuazione di Baghdadi a Mosul, raccontò che “queste ragazze hanno cambiato la vita di tutte le donne nello Stato islamico. I nostri uomini sono diventati come animali selvaggi e hanno smesso di avere rispetto per noi”. 


L’altro giorno qui Meotti ha pubblicato lo scoop di al Arabiya che ha intervistato Asma Mohammed, la prima moglie di Baghdadi, dunque viva e detenuta in Iraq – se non fraintendo. Alle telecamere saudite, la donna racconta che il marito, diventato emiro, e gli uomini di Daesh, erano “ossessionati dal sesso”. Dice delle sue altre tre spose, nominandone una cecena. La più giovane aveva 13 anni, “la stessa età di mia figlia; viveva con noi e mi chiamava ‘madre’”. Parla degli stupri delle schiave yazide. Al Baghdadi ne aveva “più di dieci” a sua disposizione. “Lui e i suoi compagni erano diventati insaziabili, selvaggi. Erano diventati disumani… Il richiamo delle donne straniere era decisivo nell’attrarre combattenti… Il Califfato era cambiato, da regime dello ‘Stato islamico’ a regime della corsa alle donne”. Bottino sessuale, prigioniere e schiave divennero il principale motivo di reclutamento per le “brigate internazionali”. “Il matrimonio era a buon mercato e le prigioniere erano abbondanti”. Non erano considerate mogli, ma bottino di guerra, schiave. Asma è oggi una prigioniera che si cerca un futuro. Ma pochi racconti sono stati così persuasivi a proposito dello Stato islamico. E pochi sono stati così illuminanti. Una gran lettura, specialmente oggi, nella nostra ricorrenza del 7 marzo. 
 

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