Piccola posta
La talpa passata al nemico ha scavato bene, siamo al momento della frana
Pacifismi e teatrini. È la distruzione della ragione: Putin vede possibile perfino il crollo dell'intera Ucraina, tra la demoralizzazione dei cittadini e l'incombenza della potenziale elezione di Trump
La chiamerei di nuovo la distruzione della ragione. La sua talpa, la vecchia talpa passata al nemico, ha scavato pazientemente, e siamo al momento della frana. Ieri, sulla piccola piazza di Facebook che io vedo, spopolava una mappa del pianeta: al centro il paese più vasto del mondo, la Russia, confinante con l’Europa, l’Asia, l’Oceano Pacifico e il Mar Glaciale Artico, figura come un modesto paese accerchiato da basi Nato. Accompagnata da didascalie sarcastiche come: “A volte mi chiedo perché la Russia è andata a posizionarsi proprio in mezzo a tutte quelle basi Nato”, la mappa, diffusa da un cialtrone, è stata condivisa da una quantità disarmante (vi piacerà questo aggettivo) di avventori, compresi miei “amici” e “amiche”. Poi, almeno in alcune pagine, la mappa è stata oscurata da un avvertimento sulla sua falsità, ma il sintomo era chiaro. E operazioni simili, e simili credulità, si moltiplicano a ridosso di fatti compiuti come la morte, e quale morte, di Navalny, come il diluvio di bombardamenti sull’Ucraina, come l’allarme americano sul rischio di un attacco terrorista islamista irriso dalle autorità russe, come l’alleanza armata sempre più stretta fra Russia e Corea del nord e Iran…
Vorrei mettere in discussione l’argomento sempre più decisivo nella dirigenza di Kyiv e negli alleati più tenaci: la vittoria russa sull’Ucraina sarebbe la premessa di un’ulteriore aggressione, presto o tardi, ad altri paesi europei e membri della Nato, com’è il caso più indicato dei paesi baltici e dell’Estonia. (Dove, oltretutto, la pretesa per la quale è Russia dovunque vi siano russi, accampa una presenza di cittadini russi). Ma la minaccia si estende a paesi grandi come la Polonia che non confinano con la Russia (se non con l’exclave di Kaliningrad).
Anche dopo aver rotto i propri argini retorici, e aver fatto propria buona parte delle spacconate macabre di Medvedev (l’atomica, le basi Nato degli F16) Putin si premura di ripetere che l’idea che la Russia attacchi un altro paese europeo è una sciocchezza, e che niente è più lontano dai suoi propositi. Lo ripete perché conta che l’argomento faccia presa sull’opinione comune europea. La quale non è stata affatto vaccinata dallo shock dell’invasione dell’Ucraina, negata dalla Russia fino a un momento prima, e considerata dal senso comune della vecchia Europa un’ipotesi irreale. Il quale senso comune ha ancora, e forse di più, una forza di intimidazione tale da spingere il buon senso a starsene nascosto. L’Ucraina, si dice, è un’altra cosa, è russa o quasi, o lo è stata, ed è turbolenta – ma l’Europa è un’altra cosa, e per giunta è la Nato. Il senso comune non si interroga nemmeno più di tanto sul fatto che i paesi che confinano davvero con la Russia, i Baltici, la Finlandia, pur così ricca di una tradizione combattiva e neutrale (e la Bielorussia libera, prima di essere schiacciata dalla repressione) e perfino la Svezia, mostrino di temere un’aggressività russa e di contare sulla difesa da parte dell’Alleanza atlantica. E mostra di temerla la Polonia, e non solo per il retaggio enorme della storia. Chi non la conosce, la storia, legge distrattamente il titolo su un missile russo che sorvola per 39 secondi il cielo polacco. La stessa Norvegia, attivamente membro della Nato (il cui segretario generale è un suo ex primo ministro) e superbamente fuori dall’Unione europea, anche grazie al petrolio, è da sempre sensibilissima all’invadenza russa sui 196 km di confine fra Finnmark e Murmansk.
Detto questo, e detto che un’alleanza politica e militare non può che mettere in conto qualunque ipotesi e prevedere la risposta corrispondente, penso che motivare l’aiuto all’Ucraina con la minaccia di un ulteriore espansionismo russo sia un argomento debole e possa risultare in una deviazione. L’argomento è oltretutto così insistito da Zelensky e dal suo entourage, con l’ammonimento che può toccare a noi di dover mandare in guerra i nostri figli, da respingere gli interlocutori e fomentarne lo scetticismo. Chi non sia sentitamente putinista, trova comunque in quell’ammonimento un ricatto, o un malaugurio.
Oggi, ed è questo il punto, Putin non intende solo tenere aperta la guerra, sulla quale va riconvertendo l’economia del paese, il suo sistema di relazioni internazionali, e la stabilità del suo potere interno. Ma vede possibile, probabile, e perfino imminente il crollo dell’intera Ucraina. Le condizioni perché ciò avvenga, e realizzi imprevedibilmente l’obiettivo iniziale e ridicolmente fallito dell’invasione, si stanno tutte radunando. Un tracollo degli aiuti militari all’Ucraina, che la debilita enormemente nei combattimenti e nella difesa delle città. Un’erosione della simpatia per l’Ucraina nell’opinione pubblica occidentale, e, per essere più precisi, un accanimento dell’antipatia per l’Ucraina, che si sente sempre più autorizzata a venire allo scoperto. L’eventualità che le elezioni europee rafforzino le componenti più “ungheresi” del Parlamento europeo. L’incombenza della possibile elezione di Trump. La concomitanza della crisi mediorientale, che impone a tutte le parti di fare i conti sui loro arsenali di armi e di consensi. E infine, la condizione più decisiva, la progressiva carenza di combattenti ucraini, l’indebolimento della loro motivazione, e la demoralizzazione dei cittadini. Eroismo e lunga durata si accordano male, soprattutto quando attorno all’eroismo crescono diserzioni (quelle dei potenti alleati più che di commilitoni in fuga) sospetti di ruberie e tradimenti, sazietà di parole. E poi ci sono le persone civili, che non hanno a che fare con l’eroismo degli atti, ma con la dignità, con la pazienza, col coraggio al minuto. Morire per Danzica non è un motto per le persone comuni, anche se poi sono loro a morire. Non è rimasto molto tempo prima che la mancanza di munizioni soffochi la resistenza ucraina. Ce n’è rimasto ancor meno prima che lo facciano la sfiducia, la delusione, il risentimento. Per gli alleati dell’Ucraina, è più facile sostenerla militarmente che riparare a una sua caduta politica e civile.
Fa sorridere amaramente il circolo vizioso che si va instaurando fra questione delle armi e delle munizioni e questione della mobilitazione. Zelensky, che congedando Zaluzhny ha anche (anche) obiettato alla sua rivendicazione di 500 mila nuovi reclutamenti, e ha rinviato finora la firma di una nuova legge che abbassi l’età della coscrizione da 27 a 25 anni, sentendo quanto sia impopolare, denuncia che l’avarizia di armamenti ed equipaggiamenti non può che ridurre la motivazione a servire. Gli alleati, quelli che armamenti ed equipaggiamenti centellinano, imputano alle autorità ucraine un trattamento troppo indulgente dei loro giovani, che andrebbero reclutati e addestrati al fronte né a 27 né a 25 anni, ma a 18. E gli uni e gli altri sottolineano che l’età media dei militari ucraini al fronte supera la quarantina. (L’obbligo di registrarsi alle liste militari e di non espatriare riguarda gli ucraini maschi dai 18 ai 60 anni, ma l’effettiva coscrizione è ridotta a chi abbia superato i 27).Fanno pena le analisi che non si curano dello stato d’animo delle persone, dei singoli e di un popolo. La sequela delle dismissioni ne è un altro indizio: a ogni personaggio di rango destituito o trasferito si assottiglia il filo cui sono sospesi quelli che restano in carica. Era ridicolo e pretestuoso esigere dall’Ucraina elezioni regolari nella situazione di guerra e con la legge marziale. Ma si poteva dire qualcosa di più del mero rinvio. Zelensky tiene duro, il suo arduo modello è il Churchill dei momenti più difficili. Ma Zelensky potrebbe dire qualcosa anche di questo: del futuro, e forse anche di non volersi ricandidare, quando sarà il momento. Biden avrebbe potuto, potrebbe, dire qualcosa di simile. Ci si occupa meglio del presente quando si è fatto testamento.
Putin ora vede la possibilità di fare un boccone dell’Ucraina, con molti concorsi esterni. Significherebbe una disfatta dell’Unione europea. Quanto al suo espansionismo, accrescerebbe enormemente il peso di una proiezione “slava” della Russia fin dentro i Balcani, dopo un altro boccone di Transnistria e Moldavia. Sarebbe una bella eterogenesi dei fini dell’eurasiatismo. La lungimiranza di Schroeder e della sua tasca. E, si licet, del nostro gentile Tarquinio: lo guardavo scavalcare il suo Papa in pacifismo, convocare teatri con Santoro, e lo vedevo candidato per i Cinque stelle. Mi ero sbagliato – o io, o qualcun altro: era per il Pd. La distruzione della ragione – concetto ungherese.