Piccola posta
Anatomia di Hamas, più antiebraico che nazionalista nella visione di Panella
Fra estremismo religioso e aspirazioni politiche: quello che riconosce il gruppo terrorista è una metastoria fondata sul dogma del Corano increato, eterno, precedente e successivo al genere umano
Ogni tanto perdo le tracce di Carlo Panella, poi lo ritrovo. E ne riconosco la perentorietà, il tratto distintivo delle sue interpretazioni del mondo, costantemente completato da proposte altrettanto risolute. Il suo libro appena uscito, “Il libro nero di Hamas” (Lindau, pp. 372) vuole avvertire della distanza fra Hamas e qualunque accezione essenzialmente politica del “nazionalismo” palestinese. Mi pare che questo soprattutto lo differenzi dalla convinzione di Paola Caridi sull’importanza della componente politica di Hamas, e della questione della “terra”. La divergenza non investe solo la descrizione, ma le conseguenze pratiche: Caridi inclina più a segnalare la disposizione di una parte di Hamas ad adattarsi alla prospettiva dello stato palestinese, Panella è persuaso che l’ossessione antiebraica inchiodi Hamas al suo dettato statutario – “l’ultimo giorno non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno e non avranno ucciso l’ultimo ebreo” – e all’utopia del Califfato senza confini. Di qui “il nodo irrisolvibile del conflitto israelo-palestinese”. Caridi naturalmente non trascura la componente di integralismo religioso di Hamas e dei capostipiti Fratelli musulmani, e Panella non trascura la componente irredentista, nazionalista e territoriale del conflitto. Ma per lui il fanatismo di Hamas e della sua versione della Fratellanza musulmana è inestricabilmente legato a una fedeltà dogmatica alla lettera, non solo del Corano, ma di una tradizione tarda di due secoli incentrata sull’odio per gli ebrei “falsi, corruttori, complottatori”, e da sempre estranei al Monte del Tempio e a Gerusalemme.
Hamas, dice, come tanta parte dell’Islam, non riconosce la Storia ma una Metastoria e una escatologia, fondata sul dogma del “Corano increato”, immune da ogni interpretazione. Il Corano eterno, precedente e successivo al genere umano, sicché Allah vi è come incarnato, e coincide con il Verbo, le sue sure e i suoi versetti. Fra i quali l’hadith che recita: “L’ ultimo giorno non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno e fino a quando gli ebrei non si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno: ‘O musulmano, o servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo!’”.
Così alla prima predicazione di Maometto alla Mecca, intrisa di ecumenismo e rispetto per ebrei e cristiani, si antepone quella dettata a Medina, nel vivo dello scontro sanguinoso contro una tribù ebraica, accusata di aver complottato contro i nemici della fede. La ferocia ostentata dell’Isis così come del pogrom di Hamas del 7 ottobre sono, scrive Panella, “la voluta celebrazione liturgica” di quella strage di ebrei del 627 d. C. Dal dogma del Corano increato derivano i danni immensi alla civiltà araba e islamica. Nel nostro quindicesimo secolo, quando la stampa di Gutenberg funzionava da quasi un trentennio, un califfo ottomano condannava alla pena capitale chiunque stampasse possedesse o leggesse un libro in lingua araba o turca, impresso meccanicamente. Decreto rinnovato nel 1515, che non riguardava peraltro le lingue cristiane o l’ebraico. Quando la Bibbia di Lutero a stampa veniva diffusa largamente e diveniva il testo dell’alfabetizzazione di adulti e ragazzi, nel mondo islamico la pena di morte mirava a impedire la banalizzazione del Corano increato e la sua diffusione di massa, relegandone la custodia alla casta degli ulema. Ciò avveniva in un contesto di analfabetismo pressoché totale, che alimentava ed era alimentato dall’inesistenza dei libri. Il primo Corano fu stampato in un paese arabo, al Cairo, solo nel 1920.
Panella ricostruisce meticolosamente il pogrom, l’apocalisse, come la chiama, del 7 ottobre. Lo fa utilmente, perché ancora, nonostante la schiacciante documentazione, resta su quella terribile giornata una diffusa reticenza, cui non sono stati estranei inizialmente gli stessi cittadini israeliani maschi. E alla reticenza e alla rimozione, quando non sono dovute alla peggiore delle ideologie, ha contribuito inevitabilmente l’impressione tragica e immane delle vittime incolpevoli di Gaza. Panella denuncia la colpa deliberata di Hamas nella carneficina dei gazawi, resi a loro volta ostaggi del suo cinismo. Ma non cede all’autoinganno di chi pensa di poterne esimere il governo di Israele. Né si fa illusioni su Netanyahu, cui imputa sia la convinzione che da Gaza non venisse più un pericolo mortale, usata a rafforzare l’occupazione militare in Cisgiordania, sia la formazione della maggioranza col partito dei coloni di Smotrich, fascista e omofobo, e col partito di Ben Gvir, erede del terrorismo e del suprematismo ebraico del rabbino Meir Kahane. E considera senza alternativa la strada dei due stati. Per la quale ritiene preliminare una bonifica della vasta trama terrorista e jihadista in Cisgiordania e a Gaza.
I capitoli successivi trattano partitamente della storia di ciascuno dei temi enunciati in apertura. Così per la genealogia peculiare del “complotto ebraico”, nella sua indipendenza e nel suo intreccio con quella fabbricata nella cristianità dai “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. E per il “retaggio antisemita nella sinistra post-comunista”. Per l’incubo islamista dell’“apostasia”, il peggiore dei peccati, identificato nella rassegnazione a riconoscere Israele – la causa dell’assassinio di Sadat (ma anche, a ruoli invertiti, dell’assassinio di Rabin). Il ruolo delle piazze – la piazza araba in Europa, araba in medio oriente, la piazza iraniana. Altri capitoli riguardano la caratterizzazione mafiosa del controllo di Hamas sulla Striscia, e dell’indottrinamento – riuscito: com’è fin troppo spesso nei dispotismi fanatici – e sulla enorme massa di sovvenzioni (e il ruolo dell’Unrwa), la persecuzione accanita dell’omosessualità e di ogni libertà delle donne, paragonabile a quella iraniana salva la ribellione, finora mancata dentro Gaza. Specialmente attuale è il capitolo sul Qatar nel momento in cui il suo spericolato doppio gioco sembra mostrare la corda. Lettrici e lettori saranno colpiti dalla lettura antologica dei manuali scolastici e dei sermoni tesi a forgiare i “martiri”, gli attentatori omicidi e suicidi del jihad.