(foto Ansa)

Piccola Posta

Giovanna Marini e il mito fondativo di Bella ciao

Adriano Sofri

Il libro di Jacopo Tomatis ripercorrere la storia della canzone attraverso le serata di Spoleto del giugno 1964, la cantautrice e il folk revival in Italia

Per non rischiare di fare della piccola posta una rubrica di necrologi – per quello bisogna essere giovani, sostiene Pereira – ricorderò Giovanna Marini attraverso un fantastico episodio della storia d’Italia che ho raccontato altre volte. Lo trovo ora ricostruito nel modo più esauriente nel libro appena uscito di Jacopo Tomatis “Bella ciao. Una canzone, uno spettacolo, un disco”, Il Saggiatore. (E grazie a un’altra, più giovane, protagonista di quel mondo musicale, Cati Mattea, che me l’ha regalato). Siamo a Spoleto, giugno 1964. La città ospita il Festival dei Due Mondi di Giancarlo Menotti e, più anticamente, una grossa scuola militare per allievi ufficiali. Domenica 21 c’è, al teatro Caio Melisso, la prima di “Bella ciao” del Nuovo Canzoniere Italiano.

Michele Straniero canta “O Gorizia tu sei maledetta”, compresi i quattro versi non in copione: “Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù”. Parte il grido “Viva gli ufficiali”, “Traditori traditori”, cui risponde, forse anche da Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai, in platea col sindaco comunista, quello di “Fuori i fascisti”. Segue l’“Addio a Lugano” e poi “E per la strada gridava i scioperanti”. Qui si scatena una “contessa”, esasperata dal verso “nelle stalle più non vogliam morir”. Giorgio Bocca le grida “Vai fuori carampana”. Gianni Bosio, in piedi, si propone di spiegare: “Questa è storia, signora!” Lei: “Io possiedo 330 contadini e nessuno dorme nelle stalle”. (Variante: “sulla paglia”). Un’altra, drastica, farebbe eco: “Almeno morissero tutti”. Applausi alle canzoni, abbandoni dissenzienti della sala. Un colonnello esce piangendo, “sulla spalla della moglie”. (… che voi ve ne state / con le mogli nei letti di lana…). Spuntano polizia e carabinieri.

La prosecuzione dello spettacolo nei giorni successivi è in forse. Menotti vacilla, ma il botteghino è alle stelle. Gli alti comandi, a Roma, sono mobilitati. Si fa divieto ai militari di presenziare al Festival. Dall’altra parte si raccolgono le firme, Pasolini Moravia Eco e i grandi della musica, Nono Manzoni… Il governo si dimette: non per i militari di Gorizia maledetta ma per il tentato golpe De Lorenzo. Gli operai di Terni, convocati si dice da Pajetta, in realtà non arrivano, e poi è domenica. Le repliche filano lisce fino a quella del 25, quando i reparti organizzati di destra sventolano bandierine tricolori, lanciano carta igienica e monetine in faccia ai cantanti, uno o due avanguardisti assaltano il palco e Giovanna Marini cambia di posizione alla chitarra per dargliela in testa. (Poi dirà che non l’avrebbe fatto, perché costava 300 mila lire). Tafferugli, poi i disturbatori abbandonano o vengono buttati fuori.

Le serate di Spoleto diventano il mito fondativo di Bella ciao e del folk revival in Italia. La contessa, una o due, non è chiaro, che avrebbe dichiarato: “Io non ho pagato 5 mila lire per venire a sentir cantare la mia donna di servizio”, riferita alla grande Giovanna Daffini, è l’antenata della Contessa di Pietrangeli e del Sessantotto. Secondo altri racconti, meno ostili all’aristocrazia, le contesse si limitarono a svenire. In realtà alcune contesse, o personalità analoghe si erano mostrate entusiaste dell’operato del nuovo canzoniere. Quanto tempo è passato. Non è passato molto tempo. Però Giovanna è stata la migliore.

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