Piccola Posta
La misteriosa visita di Kuleba a Belgrado e il doppio gioco di Vucic
Forse l'Ucraina immagina un ruolo della Serbia in un rimescolamento delle carte della guerra. Ma è improbabile che prima di ricevere la delegazione di Kyiv il presidente serbo non abbia telefonato al Cremlino
Si poteva, se non pensare, almeno sperare, che la dirigenza ucraina stesse giocando d’azzardo sulla situazione al fronte del Donbas e di Kharkiv, e gridasse al lupo per forzare gli alleati ad accelerare la consegna di armi e munizioni e attrezzature indispensabili a reggere all’avanzata russa. Non era così. E sembra chiaro, anche a chi non abbia alcuna competenza militare, che la situazione ucraina, sia al fronte, il lunghissimo fronte, che all’interno, nel morale delle persone e nelle rivalità dei notabili, renda possibili gli sviluppi più diversi e drammatici. Il fattore umano decise della superiorità ucraina nella prima resistenza all’invasione e nella controffensiva vittoriosa a Kharkiv e Kherson, il fattore umano rischia di farla cedere oggi. Inadempienze alleate, lentezza nell’adeguarsi alla nuova condizione, e stanchezza della gente, nella fase in cui il nemico prevale in modo schiacciante per quantità di armamenti e riduzione solita del suo fattore umano a carne da cannone.
Leggo, dal fronte di Vovchansk, la cittadina di confine (più vicina a Belgorod che a Kharkiv) che aveva 18 mila abitanti e ne è decimata, notizie che sembrano antiche di più di un secolo. “Dalla chat di comando della 57esima Brigata di fanteria motorizzata: - Signor colonnello, per favore, mi lasci dormire, stiamo operando da due giorni senza sosta. - E’ il momento di combattere, tutto il paese conta su noi, dormiremo all’altro mondo, ora dobbiamo salvare questo. - Non c’è scelta, abbiamo giurato: o uccidi o muori”. La pioggia di commenti non si attiene solo né tanto al registro eroico, del resto. Siete il nostro scudo – dice qualcuna. Colonnello, lascialo dormire – qualcun altro. Leggo che si indicono sottoscrizioni volontarie per supplire alla penuria di armi: “Ai sindaci delle grandi città – Kyiv, Lviv, Odessa, Dnipro, Kharkiv e tutte le altre. C’è una situazione drammaticamente critica. Sì, non ne siete responsabili, e avete i vostri problemi coi bilanci. Sì, ci sono state decine di inchieste per corruzione nell’acquisto di attrezzature militari. Ma ora è minacciata Vovchansk, e dietro lì Kharkiv, e dietro Kharkiv tutta l’Ucraina. Il nemico è a 30 chilometri. Nessuno tranne voi ora può procurare fondi urgenti per i nostri combattenti qui: la 57esima brigata di fanteria, la 42esima squadra meccanizzata, la 125esima brigata della difesa territoriale, l’unità di intelligence MO, l’82esima brigata d’assalto aerotrasportata, la 13esima Brigata della Guardia Nazionale, la Brigata Zaporozhye 110. Occorrono droni: Mavik-3, Mavik-3T, Autel-4, impatto fpv; trincee REB; veicoli ATV, per tutti i terreni…”. La risposta sembra ingente, a giudicare dalle decine di migliaia di adesioni, e colpisce che avvenga così pubblicamente – il nemico ti ascolta, oltre a me nella traduzione automatica di Facebook. E che sia così numeroso anche il malumore e la protesta.
Leggo anche della visita “a sorpresa” della signora Olena Zelenska e del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba a Belgrado, dove hanno incontrato la first lady serba Tamara Vučić e il ministro degli Esteri Marko DĐuricć, e hanno inaugurato un reparto ucraino nella Biblioteca belgradese e una guida in ucraino della Fortezza del Kalemegdan. In questa informazione c’è qualcosa di surreale. Era la prima visita di stato ucraina nella Repubblica di Serbia, regolarmente visitata dal ministro degli Esteri russo Lavrov, e la settimana scorsa dal presidente cinese Xi Jinping. E ora Kuleba, completato il turismo culturale, ha incontrato anche il presidente serbo Aleksandar Vucčicć e il neonominato primo ministro Milos Vucevicć, nel cui governo largamente putinista figurano due ministri colpiti dalle sanzioni Usa. Un comunicato recita: “La Serbia è impegnata al rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale di ogni stato membro delle Nazioni Unite, compresa l’Ucraina”.
Di che cosa si è trattato? In un momento così drammatico, Kuleba e la first lady vanno nella capitale di un paese che non vede l’ora di entrare nell’Ue e contemporaneamente rinsalda il suo legame con la Russia e più ancora con la Cina, appoggia le provocazioni scioviniste della Republika Srpska, fomenta la tensione serbista in Montenegro, e lascia che sul suo orizzonte faccia capolino, all’occorrenza, una riapertura della guerra balcanica? Il doppio gioco serbo sembra rincarato. Qualcuno ci ha visto l’eventualità che Kuleba, e con lui il marito della signora Olena, abbiano delle ragioni per immaginare un ruolo della Serbia – invece del Papa, insomma – in un rimescolamento delle carte della guerra. In Russia, trasloco di Shoigu e incarico all’economista di guerra Belousov vengono interpretati come una conferma dell’intenzione di far durare la guerra d’Ucraina sine die. Ma è molto difficile che Aleksandar Vučcicć riceva dei turisti ucraini senza aver prima telefonato al Cremlino. Non per dire la sua, per ascoltarlo.