Piccola posta
Leggere fra le righe. Lo spazio bianco tra parole nere rivolto a interlocutori insospettabili
Oggi lingua scritta e parlata vogliono essere così esplicite e ostentate che l’esegesi della scrittura fra le righe sembra superata. Ci sono però fattori potenti che la rimettono in auge
Leggere tra le righe è un’espressione comunissima. Ha però definito tecnicamente una forma di scrittura che, verso l’alto del potere, mettesse al riparo dalla persecuzione, e verso il basso della gente, la risparmiasse da verità troppo gravi o rischiose. Oggi lingua scritta e parlata vogliono essere così esplicite e ostentate che l’esegesi della scrittura fra le righe sembra superata. Ci sono però fattori potenti che la rimettono in auge.
Il primo è lo spirito del complotto, che soffia forte, e spinge lettrici (meno) e lettori (più, i più stupidi) a diffidare delle parole, che sono quelle nere, e a intuire il vero significato taciuto, occultato o cifrato nel bianco fra una riga e l’altro. Anche lo spirito dell’indiscrezione soffia forte: non solo nella scrittura e nella lettura, ma nella vita delle persone “l’apparenza inganna”, e l’inganno viene svelato non appena la registrazione di una cimice viene pubblicata, e la nobile Liguria smascherata nella sordida Montecarlo. Tutte le teorie del sospetto sono esasperate dall’universale autopsia contemporanea. E dopo che ogni volta di nuovo, immancabilmente, colui che ha appena sterminato la moglie viene descritto al tg dal portiere del condominio come “uno tranquillo ”, in ogni uomo tranquillissimo si legge, giacca e cravatta a righe, un assassino di donne.
Peccato, naturalmente. La civiltà, che è parente stretta di una dose molto moderata di ipocrisia, consiste nella convenzione secondo cui un fondo profondissimo di barbarie sta sotto la vita sociale di ciascuno e ciascuna, ma tenuto a bada, fino a che qualcosa di tremendo non lo faccia sfrenatamente riemergere: la guerra, la pandemia, il vittimismo, la vanitosa sazietà, l’invidia... O una semplice candidatura nella Lega.
Peccato anche perché c’è un’altra, bellissima accezione della lettura fra le righe. E’ la scoperta, casuale, fortunata, di qualcosa che chi scrive ha dedicato a qualcuno, a qualcuna, che sa solo lei, solo lui, e sfugge alla lettura estranea, la quale del resto non perde niente perché non si accorge di perdere niente. Penso che quella che chiamiamo saggistica sia in gran parte questo. Quando mi è successo di scoprirlo – di avere l’impressione di scoprirlo – per esempio con la pagina di Sciascia che scrive “fraternamente” di Pasolini, o con una di Kafka su Felice che ha perso un ombrello, sono stato felice (scusate), e non ho avuto da temere l’indiscrezione. Penso che chiunque scriva, specialmente se scriva poeticamente o comunque letterariamente, riservi un piccolo spazio, una frase, una parola, una sillaba, un’omissione, a un’interlocutrice o a un interlocutore tutta per lui, tutto per lei. Una, uno, che saprà leggere fra le righe e riconoscersi come destinatario, destinataria. (Purché non fraintenda – non era lei).