Piccola Posta
Jens Stoltenberg, l'uomo che rimise insieme i pezzi di una Norvegia ferita a morte
Altro che uomo di paglia. Il discorso del segretario Nato dopo il massacro di 77 persone nell’isola di Utøya, nel 2011, quando era primo ministro norvegese
Jens Stoltenberg è, nella media degli articoli del giornalismo italiano, un uomo di paglia, un burattino messo alla segreteria della Nato (da Obama, nel 2014, col consenso di Merkel e di Cameron, allora primo ministro britannico, oggi ripescato ministro degli Esteri) per la sua assenza di personalità e docilità agli ordini della Casa Bianca, con una tentazione irresistibile alle gaffe: ultima e più grossolana delle quali, la sortita sulla libertà ucraina di colpire oltre frontiera le basi da cui partono gli attacchi alle sue città. Il 1° ottobre prossimo Stoltenberg lascerà la carica che ha occupato con due proroghe, nel 2020, e di nuovo nel 2022, dovuta, quest’ultima, alla guerra russa contro l’Ucraina.
Il fatto è che questo supposto uomo di paglia, erede di una famiglia che ebbe un ruolo di primo piano nella politica laburista della Norvegia – un paese sempre rilevante per la Nato, centrale per la vocazione solidale col mondo povero, e mai entrato nell’Unione europea – era stato più volte ministro nel governo del suo paese, e per due volte primo ministro, dal 2000 al 2001, e dal 2005 al 2013. E quando gli si chiese di restare alla segreteria generale della Nato, stava per assumere l’incarico di presidente della Norges Bank, la Banca nazionale norvegese, un organo che quanto e più di altre banche centrali amministra, soprattutto attraverso il suo fondo pensioni, una ricchezza economica enorme.
C’è dell’altro nel curriculum di Stoltenberg, che fa sembrare quasi buffo o lui o chi di lui parla e scrive. Di sinistra da ragazzo, legato a una sorella marxista-leninista, Stoltenberg, che ha 65 anni, fece in tempo a manifestare piuttosto vivacemente per il Vietnam, contro gli yankee e la loro ambasciata a Oslo. Mi sono divertito a risalire la corrente di Google. Alla sua nomina alla Nato, 2014, una giornalista scriveva su Panorama che l’alleanza atlantica era stata messa in mano a un pacifista, antiamericano, agente del Kgb. Nome in codice: Steklov. Non si era però potuto provare un suo alto tradimento, e nemmeno basso. Nel 2006, da premier, aveva negato gli investimenti del fondo pensione a tre grandi compagnie americane, e dichiarato che “il cento per cento delle società colpevoli di violare i diritti umani sono americane”. Non è poco, il cento per cento. Più fondatamente, il governo greco gli ha ripetutamente rinfacciato, da segretario della Nato, una parzialità faziosa o intimidita in favore della Turchia di Erdogan. L’appartenenza sbilenca della Turchia alla Nato è un fenomeno tragicamente stravagante, ed è possibile che stia arrivando al capolinea.
Jens Stoltenberg era a capo del governo norvegese quando l’infame Anders Breivik, che aveva anche lui tra i suoi bersagli, massacrò a Oslo e nell’isola di Utøya 77 persone, per la gran parte giovani e ragazzi laburisti riuniti nell’isola, il 22 luglio del 2011. Davanti a una enorme folla di cittadini colpiti e angosciati, il premier Stoltenberg evocò una sola data precedente, quella del 9 aprile 1940, l’occupazione nazista della Norvegia. Il suo discorso permise ai norvegesi vecchi e nuovi di sentirsi orgogliosi di sé nel momento più terribile. Ciò non impedì che due anni dopo, alle elezioni del 2013, Stoltenberg fosse battuto dai conservatori di Erna Solberg. Succede infatti. Ma forse è il momento di rileggere quel discorso.
“Miei cari, che spettacolo! Mi trovo faccia a faccia con la volontà del popolo. Voi siete la volontà del popolo. Migliaia e migliaia di norvegesi – a Oslo e in tutto il paese – fanno la stessa cosa stasera. Occupano le strade, le piazze, gli spazi pubblici con lo stesso messaggio di sfida: abbiamo il cuore a pezzi, ma non ci arrendiamo. Con queste fiaccole e queste rose mandiamo al mondo un messaggio: non permetteremo alla paura di piegarci, e non permetteremo alla paura della paura di farci tacere.
Il mare di gente che vedo oggi davanti a me e il calore che sento da tutto il paese mi convince che ho ragione. La Norvegia ce la farà. Il male può uccidere gli individui, ma non potrà mai sconfiggere un popolo intero. Questa sera il popolo norvegese sta scrivendo la storia. Con le armi più potenti del mondo – la libertà di parola e la democrazia – stiamo disegnando la Norvegia per il dopo 22 luglio 2011. Ci saranno una Norvegia prima e una Norvegia dopo il 22 luglio. Ma sta a noi decidere come sarà la Norvegia. La Norvegia sarà riconoscibile. La nostra risposta ha preso forza durante le ore, i giorni e le notti difficili che abbiamo dovuto affrontare, ed è ancora più forte questa sera: più apertura, più democrazia. Determinazione e forza. Noi siamo questo. Questa è la Norvegia. Ci riprenderemo la nostra sicurezza! Dopo gli attacchi di Oslo e Utøya, abbiamo affrontato uniti lo choc, la disperazione e il lutto. Continueremo a esserlo, ma non sarà sempre come è adesso. Lentamente, qualcuno inizierà per primo a essere in grado di riaffrontare la vita di tutti i giorni. Per altri ci vorrà più tempo. E’ importante che siano rispettate queste differenze. Tutte le forme di lutto sono ugualmente normali. Dovremo comunque prenderci cura l’uno dell’altro. Dimostrare che è qualcosa cui teniamo. Dobbiamo parlare con quelli per cui è stata più dura. Dobbiamo essere umani e fraterni. Noi riuniti qui questa sera abbiamo un messaggio per tutti quelli che hanno perso qualcuno cui volevano bene: siamo qui per voi. Guarderemo anche in avanti per la Norvegia dopo il 22 luglio 2011. Dobbiamo fare attenzione a non arrivare a conclusioni affrettate mentre siamo un paese in lutto, ma ci sono alcune cose che ci possiamo promettere questa sera. Prima di tutto, oltre tutto questo dolore, possiamo intravedere qualcosa di importante che ha messo le sue radici. Ciò che vediamo questa sera potrebbe essere la più grande e la più importante marcia che il popolo norvegese abbia mai condotto insieme dalla Seconda guerra mondiale. Una marcia per la democrazia, per la solidarietà e per la tolleranza. Le persone in tutto il paese sono fianco a fianco in questo momento. Possiamo imparare da questo. Possiamo fare più cose come questa. Ognuno di noi può contribuire a costruire una democrazia un po’ più forte. Questo è ciò che vediamo ora qui. In secondo luogo, voglio dire questo a tutti i giovani raccolti qui. Il massacro di Utøya è stato un attacco contro il sogno dei giovani di rendere il mondo un posto migliore. I vostri sogni sono stati interrotti bruscamente. Ma i vostri sogni possono essere esauditi. Potete tenere vivo lo spirito di questa sera. Voi potete fare la differenza. Fatelo! Ho una semplice richiesta per voi. Cercate di essere coinvolti. Di interessarvi. Unitevi a una associazione. Partecipate ai dibattiti. Andate a votare. Le elezioni libere sono il gioiello di quella corona che è la democrazia. Partecipando, voi state pronunciando un sì pieno alla democrazia. Infine, sono infinitamente grato di vivere in un paese dove, in un momento così critico, il popolo scende nelle strade con fiori e candele per proteggere la democrazia. Per commemorare e onorare le persone che abbiamo perso. Questo dimostra che Nordahl Grieg aveva ragione: 'Siamo così pochi in questo paese, che ogni caduto è un fratello e un amico' Ci porteremo tutto questo con noi mentre iniziamo a mettere insieme la Norvegia del dopo 22 luglio 2011. I nostri padri e le nostre madri ci avevano promesso: 'Non ci sarà mai più un 9 aprile'. Oggi diciamo: 'Non ci sarà mai più un altro 22 luglio'".