(foto Ansa)

Piccola Posta

Lo spirito ironico di Staino, uno che era sempre più in pensiero per il mondo

Adriano Sofri

Oggi avrebbe compiuto 84 anni. Avrebbe certo regalato un disegno con dedica a Sinner, a Jasmine Paolini e ai raccattapalle del Roland Garros, se gliel’avessero chiesto, e anche se no

Molti di voi ricordano l’ultima vignetta di Sergio Staino sulla Stampa. L’aveva disegnata suo figlio Michele, che da tempo maneggiava con una fantastica e affettuosa abilità l’archivio digitale delle decine di migliaia di disegni, e completava così lo schizzo quotidiano che Sergio eseguiva a memoria, perché era diventato completamente cieco. Nell’ultimo tempo, il suo anno supplementare, Sergio ha pensato e detto le cose più diverse, a volte strampalate, e spesso memorabili, come quelle che appartengono di volta in volta al sogno, al delirio, alla sbronza, all’ubriachezza, alla paura, alla nostalgia. Così un giorno, uno degli ultimi, Bruna aveva trascritto la sua affabulazione, nella quale spiccava lapidariamente la dichiarazione: “Sono il raccattapalle del mio destino”. Ci sembrò subito che quella frase semplice ed enigmatica fosse un compendio della vita di Bobo e insieme dello stato del mondo. Michele disegnò e colorò una rupe scoscesa su un cielo nuvoloso e Bobo in piedi sull’orlo del vuoto, con una sciarpetta e le mani in tasca, che diceva: “Sono il raccattapalle del mio destino”. La prima pagina della Stampa lo salutò così.

La sentenza, che poteva evocare una grandiosità metafisica, era affabilmente poetica, con l’associazione fra un ruolo così marginale, di chi sta fuori dal campo e al servizio di chi se la gioca, con una parola così sublime – Sergio poi aveva una confidenza intima con la lingua spagnola, per la quale destino vuol dire destinazione, quella di un viaggio in treno o in aereo o quella del viaggio finale. Ne ero stato così colpito da chiedermi se Sergio, che era del tutto alieno così dal tifo calcistico come dalla pratica sportiva, avesse avuto qualche esperienza infantile, come dei bambini che i grandi o i bravi non ammettono a giocare, ma li incaricano di andare a raccattare e riportare i palloni finiti fuori. Ma un precedente come questo è escluso da tutti i suoi, a cominciare da Franco, il suo fratello minore. Ed è escluso anche che Sergio pensasse ai raccattapalle del tennis, servizievoli e anonimi anche loro e però nobilitati dal prestigio superiore di quello sport. Anche del tennis non gliene fregava niente. Avrebbe certo regalato un disegno con dedica a Sinner, a Jasmine Paolini e ai raccattapalle del Roland Garros, se gliel’avessero chiesto, e anche se no. Dunque, escluso che ci fosse un precedente all’inizio, è alla fine che Sergio ha scelto per sé quella categoria mortificata ma insieme dignitosa, di chi vuole fare bene e modestamente la parte che gli è toccata, finché venga il momento in cui non gli tocchi più andare a recuperare una palla finita oltre un muro per riconsegnarla ai contendenti, ma andarsi a riprendere, di là dal muro, il destino proprio e di quelli che l’hanno preceduto e lo seguiranno. La satira, che in troppi prendono come una licenza di maramaldeggiare, ha avuto in Sergio un tono di leggerezza e di serietà, di un gioco solenne. Lo spirito ironico di uno che era sempre più in pensiero per il mondo.

Oggi Sergio avrebbe compiuto 84 anni. Un anno fa, quando gli chiedemmo, alla vigilia, chi avrebbe voluto vedere attorno a lui per festeggiarlo, ci pensò per un po’, e poi disse con convinzione: “Tutti”.

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