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Rifugiarsi ad Agrigento dopo i risultati delle europee

Adriano Sofri

Una visita al parco archeologico e una riflessione sui partiti: fatti a pezzi non dal terremoto o dai cartaginesi, come i monumenti antichi, ma dagli egoismi personalistici

Ero ad Agrigento, domenica, un tardo pomeriggio trascorso a parlare di guerre, fra persone meritevoli di paci. Poi ho trascorso la notte a seguire le elezioni alla Radio radicale: il disastro europeo, il mezzo pareggio spagnolo e italiano. Lunedì avevo voglia di prendere le distanze, anche da me. Agrigento è forse la città più doppia del mondo. Quella che fu del sacco e della frana del 1966, che ancora incombe dalla città alta, e quella della Valle dei Templi. Soprattutto diurna la prima, soprattutto notturna la seconda, quando i templi illuminati e la loro canzone alla luna mostrano la schiacciante superiorità artistica e morale.

Il giorno dopo una tornata elettorale così si vuole rifugiarsi nella lunga durata. Dunque ho rivisitato scrupolosamente il parco archeologico, con un cappello d’ordinanza di finta paglia, e poi il Museo Griffo, che ha tante cose memorabili, compreso il telamone ricostruito dai suoi pezzi. Questi telamoni erano i colossi di 8 metri che 2.500 anni fa reggevano, o solo decoravano, il tempio di Zeus Olimpio. Nel parco poco fa è stato drizzato a mezz’aria un altro telamone, che ha sollevato parecchio rumore, perché è stato ricostruito con più di 90 pezzi di almeno 8 statue diverse – e inserito in una struttura di acciaio alta 12 metri. Non ho titolo né voglia di partecipare alla polemica – benché mi sembri di essere più affezionato ai pezzi rovinati e giacenti al suolo, disiecta membra che lasciavano immaginare il passato e le vicissitudini di terremoti e guerre. Comunque ad Agrigento vanno i più fervidi auguri, perché nel 2025 sarà lei la capitale della cultura.

Così dirottata altrove, la giornata mi ha suggerito un solo riferimento all’attualità, con quella sua accanita discussione su monumenti andati in pezzi e ricostruiti secondo il criterio che si chiama dell’anastilosi: perché alle elezioni italiane si erano presentate liste e partiti fatti a pezzi non dal terremoto o dalle battaglie coi cartaginesi, ma concepiti e messi sul mercato dall’origine in quanto pezzi. Così preziosi da voler perpetuare o rianimare piccole carriere personali. Così piccoli da non raggiungere il 4 per cento dell’insieme. Sarebbe bastata un’anastilosi, sia pure spuria come quella rimproverata al nuovo telamone, ma modesta abbastanza da offrire una sopravvivenza. Ecco un caso in cui la hybris, la sfida arrogante agli dei, si è voluta far forte della piccineria e della frantumazione, e gli dei l’hanno spazzata via come si fa con i frantumi inutili, con un distratto colpo di scopa.

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