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Io e Mattarella a Chisinau. Istantanee di un viaggio parallelo

Adriano Sofri

Io facevo tappa per Odessa, lui era in visita di stato. Con la presidente Sandu ha concordato “nel fermo sostegno alla integrità e all’indipendenza dell’Ucraina”. In quel suo centro la Moldova mostra una gioia di vivere quasi mediterranea

Sono a Odessa, non ho ancora preso le misure. Martedì ero a Chisinau, la capitale moldava, e c’era anche Mattarella. Non ne sapevamo niente, l’uno dell’altro. Io facevo tappa per Odessa, come altre volte. Lui era in visita di stato, era arrivato il giorno prima. Io a Chisinau dormo all’Hotel Bristol, aspettando la mattina perché in Ucraina non si viaggia di notte, c’è il coprifuoco. Lui non so dove abbia dormito, magari all’ambasciata, chissà come si pernotta all’ambasciata. Ilaria Salis ci contava, a Budapest, poi è andata meglio. Non invidio la carriera del presidente della Repubblica, così gremita di orari e di doveri, e di toppe da mettere dappertutto. Avevo volato con FlyOne, che è una modesta compagnia ucraina in esilio, erano meno numerose del solito le amabili signore che vanno e vengono ad accudire i vecchi italiani come me, in cambio ho avuto per compagno di viaggio un robusto agricoltore di Faenza, reduce dal raccolto delle ciliegie, e in missione di consulenza per colleghi di Moldova e Transnistria: cinquantino, uomo d’ordine, di destra, rabdomante, non votante, ci siamo detti le cose che contano – le ciliegie, per dire, vengono fuori in due anni sul secondo ramo – ci rivedremo al ritorno. L’Hotel Bristol è nel pieno centro monumentale, così aspettando l’ora di cena sono capitato alla statua di Stefan cel Mare, Stefano il Grande, e ci ho trovato sotto la corona ancora fresca, garofani bianchi e rossi e una verdura verde, lasciata dal presidente della Repubblica, ho preso un’aria come di avercela messa io, modestamente.

Mattarella ha parlato con la presidente locale, Maia Sandu, e ha ricordato che “a pochi chilometri da qui, come ben sappiamo, infuria la brutale guerra di aggressione scatenata contro l’Ucraina dalla Federazione russa”. Ha sottolineato che lui e la presidente Sandu concordano “nel fermo sostegno alla integrità e all’indipendenza dell’Ucraina”. Io ho parlato con una giovane cameriera, già madre di due bambini, e abbiamo concordato sul fatto che al giorno d’oggi la vita è difficile per tutti. In quel suo centro la Moldova mostra una gioia di vivere quasi mediterranea. E’ piena di giovani in amore e di parchi, alberi altissimi e in piena salute, e panchine arrotondate di massicci listelli di legno, molte, solide, vaste – matrimoniali, direi – come da noi non si vedono più, per cattiveria. Le ho fotografate, specialmente attorno alla cattedrale ortodossa, e ho fatto un video di due donne giovani che ballavano aspettando che il semaforo le autorizzasse ad attraversare, e poi siccome facevo un video hanno continuato a ballare sul posto anche dopo che era diventato verde. A Chisinau sono sempre di passaggio, e avevo visitato solo i luoghi in cui, nella città dal nome russo, Kišinëv, si era consumato l’orrendo pogrom del 1903, che Chaim Nachman Bialik consacrò nel celebre poema in ebraico e in yiddish, “Nella città del massacro”.

Questa volta avevo un po’ più di tempo, e avevo attorno il Museo d’arte, quello di Storia, i teatri, la Scala delle Cascate, la chiesa di Santa Teodora de la Sihla e il monumento ad Aleksandr Bernardazzi, architetto russo-svizzero-italiano, cui Chisinau deve moltissimo, e un po’ anche Odessa. Musei fortissimi in arazzi e ricami, e in memorie di Tomi e Costanza. Accanto a un albero c’era una bicicletta da corsa verniciata di bianco, tutta infiorata, in memoria dei ciclisti caduti sulle strade – ora, quando incontro una bicicletta, penso: questa non l’hanno ancora rubata. Per fare dello spirito, immagino, hanno intitolato una catena di bar Escobar: viene voglia di ordinare una dose al banco. Ho cenato nel parco in una pizzeria intitolata al “Gusto italiano-Ciao”, richiamato da Toto Cutugno che cantava “Un italiano vero”, un’insalata in cui è più facile dire che cosa non c’era, comunque salmone e avocado, e una Coca-Cola zero. Passavo poi mentre su una delle grandiose panchine una e uno si scambiavano effusioni accanite, lui ha sporto una mano alla mia volta come per scusarsi, io ho alzato il pollice come per congratularmi. Con la dovuta osservanza, forse a volte il presidente della Repubblica mi invidia un po’.

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