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Putin banalizza l'atomica, ma per noi è un dilemma esistenziale

Adriano Sofri

"Abbasseremo la soglia per l’utilizzo delle armi nucleari”, ha detto il presidente russo in visita ad Hanoi. Nel frattempo fa accordi militari con la Corea del nord. Così per l'occidente ritorna più forte una domanda da troppo tempo accantonata: come ci si misura con chi possiede armamenti atomici e minaccia di usarli?

Odessa. L’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio del 2022, sconvolgente come apparve, era ancora affare della vecchia storia. Un caso di imbecillità politica assecondata dall’abitudine. Putin era stato abituato a riprendersi impunemente i pezzi vecchi del territorio della defunta e compianta Urss – Cecenia, Georgia, Crimea – e prendersene di nuovi in Africa e soprattutto in Siria, facendosi beffe delle linee rosse di Obama. Abitudine rincuorata dall’abbandono a rotta di collo dell’Afghanistan da parte di Usa e coalizione. L’impero russo non esiste senza Bielorussia e Ucraina. La Bielorussia era stata riportata all’ordine, con le cattive, simulando l’affare interno. Restava l’Ucraina, di cui fare un boccone. Vecchia agenda, appunto. Qui avviene l’incidente stradale.

La Russia di Putin, respinta con perdite, sorpresa lei, sorpreso l’occidente, ha impiegato almeno un anno a curarsi le ferite, a rappezzare l’apparato, a reinventarsi un orizzonte politico – e morale, della fatale morale sessuale. Un caso di frontiera, tenuto in caldo dal decennio del Donbas, dilatato al confronto sul mondo multipolare – e antioccidentale, e la Russia come suo servizio d’ordine. Da quel momento, appena pochi giorni dopo l’aggressione, con le forze speciali sbaragliate dai difensori di Kyiv e la grottesca colonna di tank impantanata, l’agenda era cambiata, e aveva ora una posta da troppo tempo accantonata e rimossa: che cosa si fa con uno stato che possiede le armi atomiche e i mezzi per impiegarle senza riserve?

Da quei primi giorni Dmitrij Medvedev, godendo dell’immunità autoconcessa di pagliaccio di corte, ruppe il tabù dell’evocazione verbale dell’atomica, e lo fece diventare uno sfrontato ritornello proprio  della conversazione pubblica russa. Putin aspettò un po’ a subentrare, e si produsse in un viavai di minacce e frenate, fino alla frasetta pronunciata giovedì nel soggiorno di Hanoi: “Abbasseremo la soglia per l’utilizzo delle armi atomiche”. Un’affabilità addomesticata ha estratto le armi atomiche dai loro magazzini per renderle, tante volte più micidiali che a Hiroshima e Nagasaki, graziosamente miniaturizzate e ora definitivamente banalizzate – la soglia abbassata, un piccolo gradino. 

Prima di arrivare a Hanoi, Putin aveva reso visita a Kim Jong-un, un’altra banalizzazione, gli aveva fatto da autista, ne era stato lodato come “il più caro e onesto amico del popolo nordcoreano” – più di Xi Jinping, dunque, si vive di ripicche. E aveva contratto con lui un quasi perfetto equivalente dell’articolo 5 del Trattato nord-atlantico: se uno dei due paesi fosse aggredito, scatterebbe la “reciproca assistenza”. “Pyongyang – chiarisce Putin – ha il diritto di assumere misure ragionevoli per rafforzare la sua capacità di difesa, garantire la sicurezza nazionale e tutelare la sovranità”. Quello che assicurava il patto del 1961 fra Urss e Corea del nord, decaduto con la fine dell’Urss. Il patto ora riguarda due potenze atomiche (la Corea del nord ha accresciuto le sue testate nucleari nel solo anno scorso da 30 a 50). E’ l’altra faccia dell’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, un altro prodotto dell’invasione dell’Ucraina. Il semplice paragone fra i giorni di Pyongyang e le notti di Helsinki e Stoccolma chiarisce la differenza.

 

In questi giorni gli istituti specializzati forniscono i dati sulla corsa al riarmo nucleare, e qui si è letta l’inchiesta del Washington Post sui progressi incalzanti del nucleare militare iraniano. La cui sommaria conclusione somiglia alla graziosa implorazione della dama francese: “Ancora un minuto, per favore, signor boia”. “L’Iran per ora non sembra disposto a rischiare un attacco militare statunitense o israeliano costruendo e testando effettivamente un’arma nucleare, dicono gli analisti statunitensi”. Il suo minuto, l’Iran dei pasdaran lo sta guadagnando sui fronti di Gaza e del Libano. Bisogna avere fantasia abbastanza, e faccia tosta, da immaginare un articolo 5 rovesciato come quello di Pyongyang fra Russia e Iran – questo è infatti lo schieramento che prefigura il nuovo mondo. La Bielorussia, che nel 2023 aveva ricevuto dalla Russia le atomiche “tattiche”, ha a sua volta annunciato una “nuova dottrina” nel loro impiego – il suo scalino abbassato (le atomiche in Bielorussia sono oggi sotto il controllo russo). 

I pensatori occidentali realisti che si credono pacifisti, o pacifisti che si credono realisti, preferiscono avvertire che l’occidente, Italia compresa, è piena di depositi di armi atomiche. Giustificate dalla “deterrenza”, di cui è tempo di fare, e chiudere, un bilancio, avevano implicato, se non altro per pigrizia, la rinuncia a nominare l’uso dell’armamento nucleare invano, e presumibilmente una notevole obsolescenza di manutenzione. La sortita di Macron accolta dalle manifestazioni di scandalo interno – la grandeur sovrana della Francia violata – ed esterno – mai un uomo nostro sul terreno ucraino – alludeva, più che all’invio di militari Nato, all’atomica francese, l’unica nell’Unione europea dopo la Brexit, da coinvolgere nella famosa difesa comune. 

Secondo il Sipri, l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, i nove stati dotati di armi atomiche – Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, India, Pakistan, Israele e Corea del nord – dispongono di 12 mila testate, di cui 9.500 pronte all’impiego. Russia e Usa ne detengono il 90 per cento, ma la Cina ha il più rapido aumento dell’arsenale nucleare, e nel 2030 disporrà di un migliaio di testate montate su missili intercontinentali. 

La prima e più ovvia conseguenza del cambio di agenda prodotto dalla proterva imbecillità del Putin del 2022 e dalla megalomania ulteriore, è la dimostrazione piena, agli occhi di ogni stato o parastato del pianeta, della opportunità e della necessità di dotarsi della Bomba per assicurarsi del proprio potere: nei confronti di rivali esterni, come del proprio popolo, in prospettiva soprattutto del proprio popolo. L’Iran con Israele, l’Iran con le sue ragazze. La conseguenza ultima, che va facendosi a sua volta ovvia, è che il ricorso all’arma atomica è diventato imminente, e che i concorrenti potenziali si stanno chiedendo se e quando anticiparlo. Il caso più scoperto è quello della guerra mediorientale e del ruolo di Teheran – l’oltranza di Netanyahu andava lì. Quando si dice che in Ucraina si gioca una partita (mi scuso per il linguaggio macabro) che va oltre i suoi confini, più che di propositi aggressivi della Russia di Putin nei confronti dei paesi baltici o di altri territori europei – che loro prendono sul serio, dunque vanno presi sul serio – si tratta di quella drammatica domanda: come ci si misura con chi possiede l’arma atomica e minaccia di usarla? I responsabili, chiamiamoli così, preferiscono rimuovere. Stoltenberg, in uscita, ha detto: “Non entrerò nei dettagli fattuali su quante testate nucleari dovrebbero essere operative e quante essere tenute come riserva dalla Nato, ma dobbiamo consultarci su questi temi, ed è esattamente ciò che stiamo facendo”, e “in un futuro non molto remoto la Nato potrebbe dover affrontare una situazione inedita: due potenziali avversari dotati di armi nucleari, Cina e Russia”.

I pacifisti, veri, falsi, illusi, per lo più pensano che non sia affar loro. Proclamano, col Santo Padre, che la guerra è il grande affare dei mercanti di armi e di morte, e viceversa. Che “quer covo d’assassini che c’insanguina la terra sa benone che la guerra è un gran giro de quattrini che prepara le risorse pe’ li ladri de le Borse”. Hanno ragione, naturalmente. Lo penso anch’io. E forse ci sono cose così orrende e così smisurate che è saggio ignorarle e badare al proprio giardino. Alle proprie nipoti, tutti i nipoti del mondo sono troppi.  Smetto, sono le 14, ora locale, a Odessa, la perla del Mar Nero, e la sirena dell’allarme aereo sta suonando a tutto spiano. La gente di Odessa dice che i congegni antiaerei qui sono finiti, o quasi.
 

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