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Piccola posta

Sempre più europei pensano che in Ucraina la pace tornerà solo negoziando

Adriano Sofri

Secondo l'European Council of Foreign Relations il sostegno dei cittadini europei a Kyiv resta mediamente alto, ma c’è un netto divario tra la fiducia ucraina in una vittoria sul campo e la persuasione europea dell’inevitabilità di una conclusione negoziata. Trattative e sondaggi

Il voto del primo turno francese, il precipizio del credito di Biden, sono altrettanti rintocchi di malaugurio per l’Ucraina. Ieri sono stati pubblicati dei sondaggi ambiziosi, soprattutto uno, dell’European Council of Foreign Relations (Ecfr) condotto in Ucraina e altri 14 paesi europei. Il quale mostra che il sostegno dei cittadini europei alla difesa dell’Ucraina resta stabile e mediamente alto, ma c’è un divario nettissimo fra la persistente fiducia ucraina in una vittoria sul campo e la persuasione europea dell’inevitabilità di una conclusione negoziata (con la sola eccezione dell’Estonia). Italia e Grecia hanno il più basso grado di fiducia in una vittoria ucraina, e un’aspettativa nella media di un esito attraverso una trattativa. Nella maggioranza dei paesi europei si auspica un aumento delle forniture di armi all’Ucraina, soprattutto in Svezia, Polonia, Gran Bretagna, Olanda e Portogallo. Al contrario, a trovarla “una cattiva idea” sono Bulgaria, Grecia e Italia. Quanto all’opinione degli ucraini sull’affidabilità degli alleati, sono in testa Lituania e Regno Unito, in fondo Italia e Romania. L’idea di mandare truppe in Ucraina è massicciamente respinta in tutti i paesi coinvolti.
 

Secondo un altro sondaggio, condotto dall’Istituto di Sociologia di Kyiv, solo il 44 per cento degli ucraini ritiene che la società ucraina sia unita. Un 36 per cento ritiene che unione e disunione si bilancino. Il 15 per cento vede solo disunione. Fra le cui cause viene prima la corruzione (16  per cento), seconda la questione linguistica (15 per cento), terza la sfiducia nelle autorità (14 per cento). Un forte divario oppone l’occidente all’oriente del paese. Un precedente sondaggio dello stesso istituto dava al 70 per cento gli ucraini decisi a sostenere la guerra fino alla vittoria. Ma segnalava che “la rivendicazione di una distribuzione equa e onesta del peso della guerra fra i cittadini diventa sempre più acuta”.
 

In questo contesto non so valutare alcuni segnali recenti. Ieri, all’indomani dell’incontro fra Zelensky e Orbán, il capo dell’ufficio presidenziale, Andriy Yermak, in visita a Washington, ha risposto alle voci sul progetto di Trump di mettere fine “in 24 ore” alla guerra d’Ucraina in cambio della rinuncia all’ingresso nella Nato di Ucraina e Georgia, ribadendo che il suo paese non è disposto a compromessi su questioni essenziali quali “l’indipendenza, la libertà, la democrazia, l’integrità territoriale, la sovranità”. Nei giorni scorsi sia il consigliere Mykhailo Podolyak che lo stesso Zelensky hanno parlato di una seconda e imminente conferenza di pace internazionale, dopo quella svizzera, alla quale “parteciperà anche una delegazione russa”. Che cosa significhi questa dichiarazione è il più singolare interrogativo – è singolare già che non ne sia stato chiesto un chiarimento. Dal 9 all’11 luglio si terrà a Washington il vertice della Nato, nel quale, secondo una fonte raccolta dalla Reuters, si approverà l’impegno a fornire all’Ucraina nel prossimo anno 40 miliardi di euro in aiuti militari. Ieri mattina, perché non ci si facessero idee sbagliate, un attacco di droni e missili su un centro commerciale di Dnipro ha causato “almeno” 5 morti e 39 feriti.

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