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Quelli che credono che Trump abbia congegnato l'attentato si contendono il primato dell'imbecillità

Adriano Sofri

Un complotto al modico costo di un’orecchia e di un bravo pompiere ammazzato coprendo moglie e figlia. Congiurare e cospirare è cosa da dilettanti nei confronti dei minimi errori di mira di un ragazzo bullizzato

La prima reazione: la storia, delle vite personali come degli stati e del pianeta, è spettacolosamente esposta agli imprevisti. La seconda reazione: non c’era niente di più prevedibile. Ma in questo scherzo della storia c’è una manifestazione più singolare dell’ironia della sorte.

Intanto, per quel che mi riguarda, non c’è nessun retroscena. Il ventenne Crooks, uno qualunque, ha parcheggiato l’esplosivo in auto, si è arrampicato sul tetto, si è fatto notare e filmare dal pubblico, ha sparato a volontà, prima che il Servizio Segreto, poveraccio, capisse che invece di minacciare di arrestare il pubblico che segnalava lo sniper sul tetto doveva sparare a lui, dato che è pagato per quello. Un caso di scarso, scarsissimo rendimento. Quelli che a loro non la si fa, che Trump o i suoi hanno congegnato la cosa al modico costo di un’orecchia e di un bravo pompiere ammazzato coprendo moglie e figlia, sono l’ennesima dimostrazione che a questo mondo e a questo tempo credulità e incredulità si contendono il primato dell’imbecillità. E che congiurare e cospirare è cosa da dilettanti nei confronti dei minimi errori di mira di un ragazzo bullizzato. (Ancora una volta mi sono ricordato del Ponte Latino di Saraievo e del ventenne Gavrilo Princip e dei suoi amici, uno quindicenne, vergini di donne tutti, che dopo cascarono dalle nuvole: Come potevamo immaginare che avremmo scatenato la guerra mondiale?…).

Il ventenne Crook (è vergine?), così immune dalla pietà, deve essersi chiesto anche lui che cosa avrebbe scatenato. Un centimetro più in là, e avrebbe cambiato la storia. Meccanismo noto e collaudato: si può diventare papa o sparare al papa, e se si sopravvive si vivrà di interviste. La storia l’ha cambiata lo stesso, e nel modo più maligno. Perché non è vero che si può cogliere il bersaglio, o mancarlo. L’astuzia (non della ragione, ma del diavoletto dispettoso che ci mette la coda) sta nel mancarlo ma non abbastanza da risparmiare il rivoletto di sangue dall’orecchia destra. Ed ecco che il capo della mezza America che ha minacciato, se non sarà rieletto, “un bagno di sangue per l’intero paese” (“If I don’t get elected, it’s going to be a bloodbath for the whole country"), che ha tuonato sul sacro diritto ad armarsi – e a tirare – come nella maglietta del ventenne, è diventato il superstite fiero e coraggioso, a pugno chiuso, del tentato assassinio. Fotti e chiagni. Per fortuna, intendiamoci, sua e nostra. Fosse caduto, la guerra civile così annunciata sarebbe scoppiata davvero: e la parola d’ordine dell’eversione nella democrazia americana è un leninismo appena rivisto, “trasformare la competizione elettorale in guerra civile”.

Ora il punto è: si può immaginare che la coda del diavoletto si accontenti della messinscena di Butler, Pennsylvania? Tendo a pensare di no, e non solo per la velleità di rendere previsto l’imprevisto e provare a esorcizzarne i disastri. Tutte le esortazioni alla pacatezza, all’unità e all’abbassamento dei toni sono un volatile cataplasma su un corpaccio esulcerato. Ci sono, pare, almeno 20 milioni di AR 15 in circolazione negli Usa, in maggioranza in mano a maschi bianchi tra i 40 e i 65 anni e repubblicani, e in maggioranza dichiarano di detenerli per autodifesa. E’ evidente che negli States delle due ultime presidenze il sentimento della sicurezza e la conseguente interpretazione dell’autodifesa si sono esasperati fino alla tentazione a sparare per primi, a qualunque parte si appartenga, prima di essere sparati. E il sentito appello democratico alla democrazia d’America messa in pericolo da Trump e i suoi esce malconcio dalla foto dello scampato pericolo – un miracolo, Dio disviò la pallottola – e del pugno levato di Trump.

D’altra parte, solo un vero imprevisto (uno, o una catena) può riaprire i giochi, a questo punto. Quanto alle scelte che ancora restano ai democratici – un ambito ristretto fino alla rassegnazione e alla resa – ancora più ineluttabile è quella del cambio del candidato. Biden, che commentava facendo materialmente vedere quell’immagine distrattamente cinica dell’anatra zoppa, avrebbe potuto, e per lui Jill e l’intera corte, accogliere il disastro di Pennsylvania come l’occasione per passare la mano, e non c’è niente di più onorevole. Niente di più dignitoso e commovente: vi ricordate del principe di Salina, Burt Lancaster, che dopo l’ultimo valzer con Angelica – e nessuno aveva saputo ballare come lui – la restituisce al nipote giovane bello e screanzato? Ora Biden fatica a muovere i suoi pochi passi. L’uscita non sarà più magnanima. Non sarà una dimissione, ma una ritirata. Qualcuna, qualcuno, prenda la scena, e accetti una sfida così compromessa. E’ tardi per il valzer e per la Sala degli Specchi: siamo, avverte Enrico Deaglio, al Partenone di Nashville.

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