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La toponomastica “decolonizzata” di Odessa è un regalo fatto a Putin

Adriano Sofri

Pushkin e gli altri cancellati dalle vie della città. Una motivazione accampata dai “cancellatori” è la volontà di onorare i combattenti e i caduti della guerra in corso. Comprensibile, se non fosse la voluttà di cancellazione a prevalere

Ieri ho cercato invano di parlare con persone dell’Unesco: volevo solo conoscere la loro opinione su Odessa, che faceva parte del patrimonio dell’umanità per suo conto da sempre, e poi anche per conto del Comitato, dal gennaio del 2023. C’è un ufficio dell’Unesco a Kyiv, ha a capo una signora italiana. Il governo italiano rivendica una partecipazione speciale alla tutela di Odessa e alla cura delle sue ferite. L’Unesco deve molto all’impegno della diaspora ucraina in Canada, che la lontananza accanisce. Penso che la parte di mondo che ha sostenuto senza ipocrisie gli ucraini che hanno deciso di battersi per la libertà, Nato e stati e singole persone, di qua dalla decisione discriminante di appoggiarne la resistenza armata, abbiano fatto bene a rispettare, guerra e pace, la volontà degli ucraini, militari e civili. Che facciano bene anche a raccomandare e controllare l’evoluzione dello stato di diritto, della corruzione, dell’informazione, rispetto al legame con l’Europa, in quel paese in guerra che tiene supremamente all’Europa. Trovo inspiegabile che una stessa attenzione non venga dedicata alla libertà civile e culturale dell’Ucraina, e al suo cuore, la libertà della lingua e il retaggio delle città. Che cosa fa di una città una città?

La cronaca fa peripezie memorabili. Aleksandr Pushkin fu a Odessa, scrisse pagine fra le più belle dell’Eugenio Onegin, ascoltò “la lingua dell’Italia d’oro”: “La lingua dell’Italia d’oro / Risuona per le vie allegra,/ Dove passano lo slavo altero, / Il francese, lo spagnolo, l’armeno, /E il greco, e il greve moldavo, / E il figlio della terra egiziana, /Moro Alì, corsaro a riposo”. Da qualche giorno, per decreto del governo militare regionale, il gran busto di Pushkin all’inizio del Primorsky Boulevard, davanti al municipio, è stato condannato, e la via del centro chiamata Pushkinskaya, di Pushkin, ribattezzata Italianskaya, dell’Italia – quella della lingua d’oro. Le città sono fatte del loro passato e della memoria dei loro abitanti vivi. Il decreto militare congeda in un solo colpo cento fra monumenti e nomi di strade e piazze. Congeda Odessa. La stessa cosa succede altrove, a Kryivy Rih, a Mykolaiv… All’inizio fu una legge di decomunistizzazione: si trattava di ripulire l’onnipresenza di statue e toponimi sovietici. Nel 1991 in Ucraina c’erano 5.500 monumenti a Lenin. In Italia, Garibaldi ne ha 420. Subentrò la decolonizzazione, o la deimperializzazione: tutto quello che ha a che fare con la Russia e la sua lingua. Più esattamente: tutto quello che si ha voglia di cancellare – la nozione di colonizzazione non ha confini. La grande pulizia avvenne nel 2016. Il fatto è che con la Russia e la sua lingua ha a che fare l’Ucraina, e viceversa. Il proposito di recidere il cordone ombelicale è, prima che difficile da realizzare, incontrollato come ogni oltranzismo, e capace di ferire la memoria dei vivi e regalare un pretesto alla propaganda del nemico. Lev Tolstoj, quello: via. Al suo posto la regista Kira Muratova, morta a Odessa nel 2018, censurata a lungo, Orso d’argento a Berlino, bravissima – salvo che, dice chi la conobbe, avrebbe riso del cambio di nome con l’autore di “Anna Karenina”. O pianto.

Gogol’ – quello. L’odessita Isaak Babel’, quello dei racconti che rendono familiare Odessa anche a chi non ci è mai andato, fu assassinato nel gennaio del 1940 nella prigione di Butyrka dal potere staliniano, la notizia fu tenuta segreta, quindici anni dopo fu “riabilitato”. La strada intitolata a Babel’ cambia nome, decolonizzata. Stessa sorte per il fiore degli artisti, scrittori e intellettuali della città: l’odessita Kataev, il suo maestro Bunin, Nobel nel 1933, la coppia di scrittori eponimi, Ilf e Petrov, Paustovsky, già titolare di due sale al Museo della letteratura di Odessa, l’odessita Zhvanetsky, scrittore, satirico, attore, l’idolo della città – a lui è intitolato anche un piccolo pianeta, che farne? – il filosofo e critico Petr Bitsilli, i decabristi fratelli Poggio (Mykolaïv), quelli studiati da Franco Venturi, il generale e primo bibliofilo cittadino Sabaneev, titolare del ponte già invano ribattezzato a suo tempo “Karl Marx” e “Nord”, il poeta e traduttore Žukovskij, cui anche si dovette la liberazione dalla servitù della gleba del poeta nazionale ucraino Taras Ševčenko (1838), lo scrittore e militante umanitario Korolenko, ostile allo zar e poi ai bolscevichi… I musicisti, ovviamente Čajkovskij, e Isaac Dunaevskij, l’autore dell’inno di Odessa. L’accademico Korolev – residente a Odessa, inventore del primo satellite, imprigionato sotto Stalin, e con lui Glushko, inventore dei razzi spaziali, ovviamente Gagarin, e l’altro cosmonauta Dobrovolskij, residente a Odessa – sostituito dal principe Vladimiro il Grande. Il genio matematico e fisico Lyapunov… La piazza del municipio, Dumskaya, diventa Birzhevaya. I tassisti hanno già ricevuto istruzioni.

Di generali un’ecatombe, compresi gli eroi della Seconda Guerra, Azarov, Levanevskij, Zhukov (non il maresciallo), Lunin, Marinesko, Ratov, Shvygin, Tsvetaev, Nedelin, Osipov, Mitrakov, Petrov, Babajanyan, e i liberatori di Odessa – a cominciare dall’odessita Malinovskij.

Era stata fissata una scadenza, il 26 luglio. La cosa si era complicata perché alla Commissione per la toponomastica e i monumenti costituita da tempo presso il municipio di Odessa si era ora aggiunta una nuova commissione nominata dal governatore militare, Oleg Kiper, con una massiccia prevalenza nazionalista. Una componente, Yaroslava Rezhnikova, vice capo della Cultura dell’amministrazione militare, ha fatto intitolare la via Herzen a sua madre, la sconosciuta Galina Mogilnitskaya; e le vie di Bunin e Zhukovskij ad amici di famiglia compromessi con l’occupazione romena.

Così è successo che governo militare e municipio si siano contrapposti aspramente. Il sindaco Trukhanov, che aveva ceduto in passato a pretese ultra – la rimozione del monumento a Caterina e ai “quattro fondatori” aveva modificato fortemente l’aspetto del centro della città – ha pronunciato parole durissime: “Si distrugge il Dna di Odessa. Si sta consegnando la gloria della città nelle mani di Putin”. E ha annunciato di voler cercare riparazione in tribunale, e intanto ha aperto sul suo Telegram un sondaggio fra i cittadini. Arrivato attorno alle 200 mila risposte, il sondaggio registra, com’era prevedibile, una leggera maggioranza favorevole al cambiamento all’ingrosso: nessuno può ignorare che ci sia un’intimidazione oggettiva su temi che proclamano di mettere a cimento il patriottismo dopo anni di guerra. Ma il sondaggio di Trukhanov solleva lo stesso problema che ha contribuito a spiegare il rinvio delle elezioni. Nessuno sa quanti odessiti siano rimasti in città, del milione che la popolava, ed è ragionevole credere che chi è andato via si è portato nel cuore un’Odessa in cui i nomi delle strade non erano stati rifatti da un giorno all’altro. A Trukhanov, Kiper ha replicato con una deliberata brutalità: “Se vuoi passeggiare nelle strade imperiali, vattene a Mosca o a Ufa”.    

Una motivazione accampata dai “cancellatori” è la volontà di onorare i combattenti e i caduti della guerra in corso. La famiglia Glodan, per esempio. Due mesi dopo l’invasione russa, la moglie del panettiere Yuri Glodan e la giovane figlia morirono nella loro casa colpita da un missile russo. Yuri non c’era, si arruolò e morì al fronte. Comprensibile proposito dunque, salvo che l’onore reso ai nuovi eroi può trovarsi molto posto, se non fosse la voluttà di cancellazione a prevalere. Gran parte dei nuovi intestatari è ignota alla cittadinanza.

Fra le cose tipiche dell’Ucraina, come di tanti altri paesi, c’è l’idea, altre volte simpatica, come fra Livorno e Pisa, della gelosia di Kyiv per Odessa. Zelensky, o chi per lui, dovrebbe dedicarle due minuti. Può fare più rumore di un F16.

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