piccola posta
La gran confusione dei necrologi social
La strana usanza di ricordare la persona morta solo per nome. Sicché a un certo punto la sequela di rip e cuori e frasette sentite di circostanza è interrotta dalla domanda: “Chi era?”
Sopravvissuti solo su qualche giornale, con una ferrea graduatoria di rango sociale e riconoscimenti degli eredi concorrenti, i necrologi si sono trasferiti sui social, o almeno su facebook, quello più appropriato agli anziani, l’unico che anch’io guardo non abbastanza assiduamente. A volte con irritazione: la persona morta e ricordata viene citata con il solo nome, magari un nome dei più comuni, forse col proposito di invitare al ricordo solo una cerchia intima di “amici” e “amiche” (facebook dice solo “amici”, peraltro), sicché a un certo punto la sequela di rip e cuori e frasette sentite di circostanza è interrotta bruscamente dalla domanda: “Chi era?” - o: “Antonio chi?”. Ci sono altri casi singolari.
Ieri, per esempio, scorrevo di buonumore la breve lista delle mie occorrenze ricca di auguri per il compleanno di un mio amico, sul serio, e sono capitato su un necrologio, col titolo “il tale per il talaltro”, e sotto la fotografia di tre uomini, allegri, giovani, evidentemente amici. Era impossibile capire quale dei tre fosse il commemorato. Mi sono scoperto a scrutare le facce dei tre come se dalle fisionomie e dalle espressioni si potesse dedurre l’imminenza della dipartita di uno, o la permanenza di altri due. Non che cercassi segni di una malattia o di una sfibratezza sul viso o nella postura di uno dei tre, e la fotografia era di quelle che si prediligono in simili circostanze, amici in una bella giornata, con un sorriso destinato al fotografo e al futuro. Ma, senza pensarci, quasi istintivamente, abbiamo la sensazione che una vicinanza alla morte si faccia riconoscere dallo sguardo, dal modo di tenersi nelle spalle, da qualcosa. Dai piedi scalzi - ma questa era una fotografia a metà busto.
Nei vecchi ritratti di famiglia sopra la testa dei defunti era segnata una crocetta rossa. Le famiglie che potevano permettersi ritratti ripetuti nel corso del tempo invecchiavano, tranne i morti, che restavano al loro posto con l’età in cui se n’erano andati. Mentre, ora sovrappensiero, riguardavo la fotografia, mi dicevo che abbiamo un modo diverso di guardare a uno che è morto, e specialmente a uno, o una, di cui abbiamo appena appreso della morte. Forse con un rispetto, una compunzione, un dispiacere, o soltanto un imbarazzo: è lì che sorride, in mezzo agli altri, e non c’è più, e chissà qual era. Nei cimiteri, finché durano, succede il contrario: c’è la fotografia del vivo, scelta con cura, e la terra o la lastra di marmo a dichiararlo morto. Tutto chiaro. Nella fotografia di ieri uno è ancora vivo, due sono vivi, anche se non è chiaro quali.