piccola posta
L'assalto del regime russo e dei suoi alfieri italiani agli inviati Rai ha del grottesco
Il senso del ridicolo è una, nemmeno l’ultima, delle innumerevoli vittime della guerra. Dopo l'attacco a Battistini e Traini, ora tocca a Piagnerelli, reo di aver interpellato un soldato ucraino senza notarne un distintivo neonazista
I giornalisti in zona di guerra, che siano coperti da un’iscrizione all’albo e da una testata, o che si muovano in proprio per curiosità e amore di libere informazioni, e desiderio di carriera, non possono avere altre limitazioni, penso, che la cura di non mettere a repentaglio le persone, civili e militari, cui si affiancano nei loro movimenti. Questo elementare criterio implica provvidenzialmente anche un limite alla personale temerarietà: esporsi avventatamente al rischio, qualunque sia la motivazione, espone anche il proprio prossimo. Salva questa responsabilità, ogni varco è buono. Così, la pretesa saggezza di chi si compiace di rimproverare agli inviati della Rai Stefania Battistini e Simone Traini una qualche violazione delle regole professionali o addirittura del diritto internazionale – la violazione dei confini – è un’esibizione di frustrazione vanesia: non vado al fronte, almeno faccio la paternale a chi ci va. Le veementi proteste di Zacharova e altre insigni personalità del regime russo contro l’invasione della madrepatria da parte di giornalisti italiani e americani, oltre che di combattenti ucraini, sono un’ennesima manifestazione carnevalesca: l’armata russa e un intero apparato di stampa e propaganda a lei incorporato spadroneggiano da due anni e mezzo oltre i confini dell’Ucraina. Il senso del ridicolo è una, nemmeno l’ultima, delle innumerevoli vittime della guerra.
La quale è stata anche un cimento per una nuova generazione di giornaliste e giornalisti, della radio, della tv, della stampa, che ha assicurato un’informazione ricca sulla guerra combattuta nell’Ucraina aggredita. Non vi sono mancati episodi di ostacoli e insofferenze alla libertà di informazione, e qualche eccesso di cautela e qualche ottusa diffidenza sono tipiche di ogni apparato statale, e tanto più in tempi di legge marziale: da deprecare e denunciare. Ma la libertà di movimento e di conoscenza che l’Ucraina ha consentito non solo all’informazione ma ad altri modi di presenza civile e volontaria di cittadini europei è un caso raro e sorprendente. Veterani ed esordienti vi si sono misurati con un’ampiezza senza precedenti, compresa la guerra civile ex jugoslava che, complice la persuasione dei vecchi direttori che non gliene fregasse niente a nessuno, diplomò sul campo una nuova generazione di inviati, anche lì con l’apporto di un drappello di veterani senza spocchia, e con loro una miriade di volontari della solidarietà e della messa alla prova. Fra gli inviati che si sono messi in luce in Ucraina avevo notato fin da principio, quando guardavo ancora le cose da lontano, un giovane dalla statura e dal nome dinoccolato, Ilario Piagnerelli, che mostrando commosso la terra bruciata di Bucha diceva di essersi avvalso degli insegnamenti dei più sperimentati colleghi: segno cruciale, la prontezza al riconoscimento e alla riconoscenza dei meriti altrui, nelle professioni come nei rapporti personali. Poi ebbi più occasioni di incontrare lui e tante e tanti altri – e gli operatori, i più esposti al rischio, e meno esposti alla fama.
Ora rido dell’assalto che il regime russo, e i suoi camerieri in Italia, hanno mosso, dopo Battistini e Traini, a Piagnerelli, reo di aver interpellato un soldato ucraino senza notarne un distintivo neonazista. Ieri Piagnerelli ha ricordato al Corriere di aver avuto un nonno partigiano, e mi ha fatto piacere il suo orgoglio di nipote, e mi è quasi dispiaciuto che servisse a spiegare un lavoro che si è fatto conoscere da sé. In conclusione, l’invadenza dei giornalisti e degli umani in generale nei confronti dei passaggi vietati è la sola forma di invasione da augurarsi e lodare. E ordinare il rientro degli inviati, sia pure con la motivazione ufficiale della loro sicurezza, e con quella ufficiosa della protezione della sede Rai a Mosca, è una brutta mossa. Alla sicurezza, salvo provvedere alle risorse necessarie, pensino loro, persone adulte. E al rispetto per la Rai pensino i titolari della sua reputazione.