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Un matrimonio a Sarajevo, la festa dopo la distruzione e gli occhi chiusi sul passato
Si è sposata la figlia dell’autista storico dell’ambasciata italiana a Sarajevo, grande amico dei giornalisti italiani negli anni dell’assedio. Una lettera che ho ricevuto racconta la festa
Gigio è ora in pensione, dopo essere stato l’autista storico dell’ambasciata italiana a Sarajevo e il grande amico dei giornalisti italiani negli anni dell’assedio. Lui e Amela hanno tre figlie, e la prima si è appena sposata. Ho ricevuto questa lettera sulla festa da un amico, già rappresentante di un paese europeo nella capitale bosniaca, mi sembra che possa riguardare anche voi.
“Per me e mia moglie partecipare al matrimonio è stata un’esperienza molto coinvolgente, come sempre accade a Sarajevo. La naturalezza di Gigio, l’eleganza di Amela, l’affaccendarsi delle sorelle con gli ospiti, la felicità spontanea di Berina e dello sposo, la musica nel giardino e i balli sempre più animati, tutto è stato stupendamente diretto, vissuto con piena sincerità. Al tavolo parenti e amici stretti che non si conoscevano necessariamente e che incontrandosi non hanno potuto fare a meno di raccontarsi della guerra e delle sue assurdità, dai pacchi spediti da Vienna che sparivano all’arrivo, ai sacchetti di farina che non riuscivano nemmeno a passare da un quartiere all’altro, perché qualcuno li sequestrava come ‘materiale strategico’. ‘Komu rat, komu brat’, oggi guerra domani fratello – più o meno – ha sentenziato un cugino di Gigio, con la smorfia tipica bosniaco-erzegovese che liquida tutto in un triste ‘che ci vuoi fare?’. Eppure proprio questo ha fatto risaltare la vittoria della vita. Uno non poteva fare a meno di osservare questa gioia sincera e pensare quanta fatica è costata; quanto dolore, rischio e sacrificio sono stati necessari per approdare a questo risultato senza trasformarsi in mostri, senza rinunciare all’umanità. Uno si accorge che tutta la scena poteva ripetersi nello stesso identico momento con le stesse persone, gli stessi sorrisi, le stesse celebrazioni in questi stessi giorni, senza il calice amaro di anni di guerra e di sofferenze. Se la guerra si fosse evitata probabilmente non sarebbe cambiato niente, si sarebbe arrivati lì. Invece il fatto di arrivarci nonostante tutto, con ragazze velate e ragazze non velate che danzano libere e felici e l’amica del cuore di Berina che è serba e ortodossa, venuta apposta da Belgrado dopo gli anni insieme in Italia, ecco tutta questa è una cosa che fa commuovere e interrogare sulle strade della vita e sul coraggio che serve per viverla. Gigio e la moglie, Berina e le sorelle ne sono consapevoli. Tutti quanti hanno fatto lo sforzo di restare umani, di non cedere negli anni della guerra e del dopoguerra. Se ne sorprende quasi pure Gigio: malgrado tutto, ‘non siamo diventati nazionalisti!’. E sempre Gigio, con saggia testardaggine, considera come anche Berina abbia scelto una strada sempre più rara: dopo la laurea in Medicina a Bologna, guadagnata a costo di sacrifici enormi, non è emigrata ma si è guadagnata l’assunzione in una Asl locale. Anche questa è una scelta ‘contra tutto’, come dice Gigio con orgoglio cosciente. Insomma, uno si trova a ricevere una lezione di vita da un autista che ne ha viste di tutti i colori e che ora dimostra con naturalezza il senso dell’onore di essere umani, di restare fedeli alla vita. Poi uno che vede questo non può non chiedersi che succederà a Gaza tra trent’anni, se ci sarà un matrimonio celebrato senza odiare, con amici ebrei, atei e musulmani, quale prezzo sarà richiesto a migliaia, milioni di persone per provare a restare umani nonostante tutto. Uno si chiede che cosa abbiamo capito, se abbiamo capito, della distruzione di coscienza che è avvenuta in Europa con gli anni Novanta, se qualcuno ha imparato o no che il vento del nazionalismo è sempre progettato a tavolino, che non se lo inventa da sola la ‘società’. E’ vero che la storia si ripete, ma non c’è nulla di peggio di chi non vuole guardare ai precedenti. Intanto nasce una vita nuova e lì, a Sarajevo, c’è qualcuno che nonostante tutto ‘è rimasto umano’”.