Van Gogh, "Barche dei pescatori", 1888 (Wikipedia)

piccola posta

In barca con i marinai per testare antiche parole

Adriano Sofri

Nuovi commenti sullo sprofondare negli abissi marini, fino ad arrivare alle origini della "mazzeratura". E Dante c'entra ancora una volta

La piccola posta di ieri, sul fare il morto e cadere come corpo morto cade, e l’azzardata eventualità che Dante avesse tratto il suo corpo morto dal lessico dei pescatori e dei marinai, mi ha fruttato alcuni commenti variamente istruttivi. Com’era giusto, qualcuno si è soffermato sulla prossimità fra corpo vivo e corpo morto nelle traversate migratorie del Mediterraneo. Anna G. mi ha spedito la fotografia di una lapide del cimitero di Odessa, siglata da un’ancora, e con l’iscrizione – in russo – “I fratelli Shulikin hanno gettato l’ancora qui”. (Mi ha anche detto che Odessa è al buio, come tutta l’Ucraina, che purtroppo non è una notizia, anche se questa volta il buio vuole restare).

Paolo Di Stefano, che è, prima che scrittore e giornalista, filologo romanzo, allievo di Cesare Segre, mi ha segnalato la poesia di Giorgio Orelli (1921-2013), svizzero di lingua italiana, “grande poeta e dantista allievo di Gianfranco Contini (N.B.: il Ceneri è il monte che divide in due il Ticino tra Sopra e Sottoceneri):

“Calmo, limpido il mare
che prende e dà memoria
e a te darà sopra tutto salute.
Il cielo in qualche zona
ha l’azzurro nutrito dal ferro
delle ortensie sul Ceneri.
“Vieni”, dici, “fa’ il morto,
è così facile”. A me
che appena il vivo so fare”.
(Da Sinopie, 1977).

E mi ha ricordato che c’è una bella pagina di Tullio Pericoli sull’opera morta delle barche in relazione al dipingere.

Alessandro Smerilli, medico e pescatore erudito, mi ha a sua volta ricordato i versi, dal Canto XXVIII dell’Inferno, in cui Pier da Medicina chiede a Dante di mettere in guardia due valenti signori di Fano dal terribile destino che li attende a Cattolica, la morte per “mazzeratura”:

“E fa saper a’ due miglior di Fano
a messer Guido e anco ad Angiolello,
che, se l’antiveder qui non è vano,
gittati saran fuor di lor vasello
e mazzerati presso a la Cattolica
per tradimento d’un tiranno fello”.

La mazzeratura è una pena di morte medioevale, riservata ai colpevoli di tradimento: i condannati venivano rinchiusi in un sacco appesantito e annegati. “Mazzerare [...] lo gittar l’uomo in mare in un sacco con una pietra grande; o legate le mani, e i piedi, e con un grande sasso al collo” (Francesco di Bartolo, commentando il passo di Dante).

Questo tristo mazzerare veniva da “màzzera”, termine marinaro parente del “corpo morto”, che indica una zavorra di pietre capace di far aderire al fondo una rete di tonnara sostenuta all’altro capo dai sugheri, o una palamitara. Mazzera deriverebbe dall’arabo ma῾ṣara, che è la macina da mulino. La dantista Bruna Cordati Martinelli, che ha compilato la voce per il vocabolario Treccani, collega sulla scorta di Schiaffini e Petrocchi mazzerare a macerare.

Ho messo subito alla prova questa nuova nozione, chiedendo di “màzzera” a Claudio e Marco, pescatori elbani a riposo coi quali ieri sono uscito in mare. Il termine è largamente in uso, mi hanno detto, a indicare la zavorra di pietra o anche semplicemente la pietra. E anche, figuratamente, a segnalare qualcuno dalla testa dura: “Capo di màzzera”. Non ho preso pesci ma sono tornato contento.

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