piccola posta
Auguri a monsignor Savino
Il vicepresidente della Cei ha argomentato l’opposizione radicale alla cosiddetta autonomia differenziata, oltre che l’auspicio dell’accoglimento del cosiddetto ius scholae. Non male
Monsignor Francesco Savino, 69 anni, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha ieri argomentato l’opposizione radicale alla cosiddetta autonomia differenziata, oltre che l’auspicio dell’accoglimento del cosiddetto ius scholae. In un’intervista a Repubblica, citando il miglior critico della controriforma, l’economista e storico barese Gianfranco Viesti, l’ha chiamata “secessione dei ricchi”, e ha detto che c’è bisogno di un nuovo Risorgimento: non male per un pugliese di Bitonto e vescovo di Cassano all’Jonio, Calabria. Savino parla a nome della Cei, e del resto un’analoga posizione era stata espressa dal suo presidente, il cardinale Matteo Zuppi e, in solido, dal Consiglio Episcopale Permanente. Dieci anni fa Sergio Romano assimilò la Cei a una terza camera italiana, dopo Montecitorio e Palazzo Madama - e prima, evidentemente, del salotto di Vespa. Non so che posizione aggiornata i sondaggi sulla fiducia (cioè sulla sfiducia) degli italiani nelle istituzioni assegnino alla Cei, che in genere viene terza dopo Quirinale e Presidenza del Consiglio (!), con un apprezzamento vicino a quello di carabinieri e pompieri. Nell’opinione che chiameremo progressista, nonostanti le divergenze insuperabili sui valori cosiddetti non negoziabili, quelli riferiti alla sfera della sessualità e della libertà personale, i vescovi vanno piuttosto forte, grazie soprattutto alle posizioni sui migranti - rafforzate dal primo intervento della barca a vela finanziata dalla Fondazione Migrantes presieduta dall’arcivescovo di Ferrara-Comacchio Perego, e benedetta personalmente dal papa Francesco, accanto al soccorso della Mare Jonio. La posizione della Cei somiglia forse a quella della Corte Costituzionale, per l’indipendenza dal potere politico e l’impressione di un orientamento progressivo nell’uso dell’indipendenza - compresi, cautamente, i “principi non negoziabili”. Ma la Corte Costituzionale sembra più insidiata dall’arrembaggio del potere politico, quanto il Quirinale, mentre i vescovi appaiono più al riparo della protezione papale e dell’appartenenza alla chiesa internazionale.
Non so che cosa pensiate dei vescovi. Mi sembra ragionevole serbare una certa diffidenza, se non altro perché sono tutti maschi. In compenso, la notevole quota di vescovi nominati da Francesco fa ben sperare - ne ho avuto un’esperienza diretta, dal mio cappellano di galera, oggi già vescovo emerito, come passa il tempo. Anche monsignor Savino appartiene a quella leva del 2015. La cautela è dettata soprattutto dal fatto che, essendo umani e uomini, i vescovi sono come tutti, e a volte un po’ di più, tentati dalla vanità e dal desiderio di apparire, e la vanità si distribuisce equamente fra progressisti e conservatori o francamente reazionari. Il vescovo Savino lo incontrai a Odessa, dov’era venuto nel giugno del 2022 con una “Carovana della Pace”, e poi nella martoriatissima Mykolaiv, dove quei pacifisti erano venuti a scaricare i loro aiuti alla gente. A Odessa, fermo nel deprecare ogni guerra, Savino fu anche pronto a riconoscere di non aver trovato nemmeno una persona, dai confratelli prelati e preti cattolici ucraini alla cuoca della mensa in cui era ospitato, che si dissociasse dalla difesa armata del paese. A Mykolaiv, nella piccola catena umana che si passava i pacchi e gli scatoloni, monsignor Savino si era rivelato buon scaricatore. Dunque auguri.