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Riflessioni su uguaglianza e ricchezza a partire da Warren Buffett (94 anni domani)

Adriano Sofri

Forse il futuro sta nell’abolizione del denaro, o comunque nel suo confinamento a una specie di gioco di società riservato a pochi, un burraco a distanza fra un emiro del Qatar e l’immortale Warren Buffett

Warren Buffett, 94 anni domani, è solo “il sesto uomo più ricco al mondo”. (Devo supporre che fra le persone più ricche al mondo non ci siano donne). E’ un finanziere, cioè, se capisco bene, uno per il quale non c’è differenza fra il petrolio e la Coca Cola, dal momento che ambedue procurano soldi. Però il petrolio non si beve. Buffett beve 5 lattine di Coca Cola al giorno, e altrettante confezioni di patatine fritte, e si dichiara felice. E’ brillante e spiritoso: le riunioni annuali degli azionisti si sono guadagnate il nome di Woodstock del capitalismo. Il suo patrimonio, dice Forbes, ammonta a 146 miliardi di dollari. Ieri tutti i giornali del mondo riferivano il risultato della sua holding, Berkshire Hathaway, che ha superato i 1.000 (mille) miliardi di capitalizzazione di mercato. Credo di non sapere esattamente che cosa vuol dire, e non m’importa. Mi seducono le cifre colossali, e le classifiche. Berkshire, quanto a capitalizzazione, è solo ottava, dopo Apple, Nvidia (processori ecc., nome composto da Next Version e Invidia, difficile da pronunciare come ’Ndrangheta, la cui quotazione di mercato è sottovalutata), Microsoft, Alphabet, Amazon, Saudi Aramco e Meta – tutte Usa, tranne la saudita. Le prime tre superano i 3.000 (tremila) miliardi di capitalizzazione. Le tre principali italiane, Eni, Enel e Ferrari, stanno fra i 50 e i 70 miliardi di dollari.

Ho citato questi numeri astronomici solo per confermare che la questione dell’uguaglianza – l’égalité – è sfuggita a ogni controllo e a ogni programma politico: è un aquilone volato via dalle mani degli umani, compresi quelli che continuano a parlarne in vari modi, equità, redistribuzione, e simili. Questa ovvia constatazione non vuol dire affatto che la lotta di classe fosse un malinteso. Bastava prendere sul serio la battuta più famosa di Warren Buffett: “La lotta di classe esiste, e l’abbiamo vinta noi”. Gente come Buffett può dare in beneficenza cifre largamente superiori ai bilanci di tanti stati africani. Quando – e se – Buffett morirà, avrà dato in beneficenza 100 miliardi di dollari. Dopo il danno, la beffa. Immaginate un partito politico che rivendichi, non so, la nazionalizzazione di Nvidia o della ’Ndrangheta, le quali hanno da tempo internazionalizzato i loro rapporti con gli stati di residenza ufficiale. Sempre ieri, i giornali davano notizia dell’intenzione del governo italiano di tagliare il cosiddetto assegno unico di 57 euro per figlio di famiglie che non presentino l’Isee: 57 euro, per giunta tagliati, che tenerezza, si resta umani.

Non so che cosa pensare dell’avvenire. Le rivoluzioni, va’ a capire. Le guerre certo resistono, anzi si sono ringalluzzite. Forse, mi dice un mio amico che ha fatto una sua modesta fortuna, il futuro sta nell’abolizione del denaro, o comunque nel suo confinamento a una specie di gioco di società riservato a pochi, un burraco a distanza fra un emiro del Qatar e l’immortale Warren Buffett, che possiede 400 milioni di azioni della Coca Cola, e ne beve cinque lattine al giorno. Dalla parte del genere umano basso sta una sola cifra anche lei colossale, e in crescita, benché sempre più allentata: 8,2 miliardi circa, al momento. Accantonata l’égalité, tenuta cara la liberté, abbracciata la fraternité, appena corretta dalla sororité, la futura internazionale potrà consentire a quei pochi smisurati attori di borsa nera, geniali, Buffett, o imbecilli, Musk, di continuare a giocare al loro monopoli: sarà la beneficenza assegnata dal genere umano a un pugno di suoi disabili transfughi.

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