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Il ballo dei titolisti dei giornali, una cruenta staffetta tra guerre e omicidi

Adriano Sofri

Quarantamila morti ammazzati in medio oriente, altri sei ostaggi israeliani trucidati, una donna che cammina e ascolta musica con le cuffie, due anni e mezzo di Ucraina. Viene la tentazione di rimuovere la responsabilità personale

Ogni giorno i responsabili delle prime pagine dei giornali e dei titoli di testa dei telegiornali devono decidere. Salve eccezioni – un attentato a Trump, una nomina di Harris, un tappeto rosso al Lido di Venezia – possono scegliere fra le due guerre che fanno notizia (il Sudan no), Ucraina-Russia e Israele-Gaza. Ieri, per esempio, mentre Kyiv e Kharkiv erano bersagliate da un nuovo record di missili e droni e Putin viaggiava alla volta della Mongolia (che significava una doppia assicurazione: che la Mongolia non avrebbe approfittato della sua presenza per arrestarlo, e che la Russia non avrebbe approfittato della sua assenza per deporlo), la maggioranza democratica degli israeliani scendeva in piazza contro Netanyahu e i suoi ministri fascisti e razzisti, per il cessate il fuoco e il primato della liberazione degli ostaggi superstiti. Non era facile. Alla vigilia, la vittoria nazista e rossobruna aveva giustamente avuto la meglio nelle aperture, non solo perché si trattava della Germania, cioè dell’Europa, ma perché in nessun paese l’onda alta del neofascismo è nutrita da una combinazione come il vecchio conto sociale e psicologico non regolato della riunificazione tedesca e il nuovo conto dei migranti e dell’islam.

Ma la vera alternativa, nell’attenzione dei titolisti e degli italiani, era un’altra. Più che un’alternativa, una staffetta. Fra l’assassinio a coltellate della giovane donna Sharon Verzeni, e l’assassinio a coltellate della famiglia di Paderno Dugnano. Tre tratti comuni, almeno: i coltelli - quattro (o tre) nella provvista di Moussa Sangare, uno “da pesce” per il diciassettenne Riccardo - la certificata “assenza di movente”, e la nazionalità italiana. Per il resto, gli antipodi. Moussa Sangare (dichiarato nordafricano da Salvini, che poi ha annesso al Nordafrica il Mali di cui i suoi antenati erano originari) aveva spaventato la sua famiglia, madre e sorella, e minacciato di uccidere a coltellate la sorella, e suscitato invano la richiesta alle apposite istituzioni di occuparsi del suo stato. Il ragazzo Riccardo era il primogenito di una famiglia autoctona “felice, molto felice” (così la magistrata competente). I politici alla Salvini, alla Laura Ravetto (a proposito di Sangare: “Sono questi i nuovi italiani?”) pronti a raccomandare alle autorità e al pubblico da quali fattezze esotiche guardarsi, non hanno saputo completare il promemoria: “guardarsi dalle famiglie completamente autoctone, benestanti, felici, molto felici”. Non hanno fatto meglio molti degli esperti interpellati, né gran parte dei cronisti mandati a riempire pagine a ufo: a leggerli, viene da credere che il ragazzo Riccardo non potesse che sterminare fratellino madre e padre, e che i membri di famiglie perfette debbano provvedere a dormire con un occhio solo, e con un pugnale sotto il cuscino. Vecchia storia, “la famiglia che uccide” (Morton Schatzman, 1973): ma lì era la famiglia che uccide i suoi figli, non che ne viene uccisa. E forse si smetterà anche di abusare dell’incipit di Tolstoj, “Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Senza strafare, però: “Ogni famiglia felice è infelice”.

E allora? Allora il ballo dei titolisti ha una sua musica di fondo, il suo tempo di guerra. 40 mila morti ammazzati dichiarati ieri da Hamas (forse meno, forse “solo” 36 mila? 31.278?), altri sei ostaggi israeliani trucidati, una donna che cammina e ascolta musica con le cuffie, due anni e mezzo di Ucraina, viene la tentazione - diabolica - di rimuovere, di cancellare la responsabilità personale. Come decidere di smettere di fumare o di mangiare carne durante un terremoto che non lascia pietra su pietra. Nel breve periodo, siamo tutti morti.

Dopotutto, non è mai troppo tardi.

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