Il primo ministro russo Mishustin con Pezeshkian a Teheran (Ansa)

piccola posta

Se la morte di Nasrallah lega ancor di più le guerre della Russia e dell'Iran

Adriano Sofri

Teheran alle strette è un problema per Mosca. La posizione del presidente iraniano Pezeshkian è incresciosa: l’uccisione di Nasrallah è arrivata addosso al suo sforzo di presentare a Stati Uniti e Ue una nuova offerta di dialogo e di trattative

Titolari a giorni alterni dei notiziari – “E ora passiamo all’altra guerra...” – guerra in Ucraina e guerra in medio oriente vanno sempre più legandosi e dipendendo l’una dall’altra. Scrivo, lunedì, mentre il primo ministro russo, Mikhail Mishustin, è a Teheran per incontrare il presidente Masoud Pezeshkian, e non so che cosa si siano detti né con quanta tenerezza si siano salutati. L’incontro era in calendario, in previsione del summit dei Brics da tenere fra il 22 e il 24 ottobre a Kazan, la capitale della repubblica russa del Tatarstan. In quella circostanza, Pezeshkian incontrerà Putin. La posizione del presidente iraniano è delle più incresciose. L’uccisione di Nasrallah è arrivata addosso allo sforzo suo e del suo stretto collaboratore Mohammad Javad Zarif – nel 2015 ministro degli Esteri protagonista dell’accordo sul nucleare, poi cancellato da Trump – di presentare a Stati Uniti e Ue una nuova offerta di dialogo e di trattative. Nel suo discorso all’Assemblea dell’Onu, Pezeshkian ha dichiarato che “l’Iran non ha mai approvato l’aggressione russa contro il territorio ucraino”. Rivendicazione temeraria, dal momento che sono migliaia i droni iraniani Shahed spediti dall’armata russa a martirizzare l’Ucraina.

Nuove e più severe sanzioni sono state decise lo scorso 10 settembre da Usa, Regno Unito, Francia e Germania contro l’Iran, accusato di aver fornito alla Russia i ben più micidiali missili balistici Fath 360, 120 chilometri di gittata (Kharkiv è a 30 chilometri), dotati di testate da 150 chilogrammi di esplosivo, e capaci di viaggiare a 3200 chilometri all’ora – intercettabili solo da congegni come i Patriot, che si contano sulle dita di una mano e hanno un costo altissimo. L’Iran ne aveva negato l’invio fino a poco fa, e a New York Pezeshkian ha dichiarato con un certo spirito che “simili forniture alla Russia possono essere avvenute in passato. Ma posso assicurare che non ci sono state da quando io sono entrato in carica”. Lui è entrato in carica il 30 agosto.

Questo delicato gioco di equilibrio è stato mandato a gambe all’aria dal colpo israeliano a Beirut. Pezeshkian e il tentativo di liberare l’Iran dal peso delle sanzioni e dall’illusione di guadagnare un’egemonia militare e politica sulla regione, si trova ora nell’angolo fuori e dentro il paese. Allo stesso tempo, è la Russia di Putin a dover decidere le proprie mosse di fronte alla nuova situazione, che vede alle strette un alleato prezioso come l’Iran e il presidio comune della Siria di Bashar.

L’Iran sta dalla parte della Russia oltre che per una concordanza di sensi amorosi quanto al buon costume e alle sue polizie, per lo spaccio di armamenti – il sistema difensivo russo S-400, quello già acquistato a tradimento dalla Turchia atlantica, e i caccia intercettori Su-15 – e l’appartenenza a un sistema di alleanze che include Pyongyang e Pechino. Ma è insieme minacciato di un totale isolamento nella regione. E questo quando Netanyahu ha un mese e cinque giorni per fare quello che vuole, in una posizione che si definirebbe win-win: se l’Iran sta fermo, lui vince, e se si muove il tanto da arrivare alla guerra diretta, lui, che non ha desiderato altro dall’8 ottobre, stravince, o così crede. Ecco che si è arrivati a chiedersi chi sarà il primo a usare l’atomica (a parte gli outsider invidiosi come Kim), se quello che ne straparla dalla mattina alla sera, o quello che ha detto, senza fare nomi: se ci colpite, noi vi colpiamo.

Intanto, un Iran che dovesse rinunciare a spacciare armamenti alla Russia significherebbe per l’Ucraina un guadagno superiore a quello di qualunque bombardamento riuscito sopra un deposito di munizioni in territorio russo.

Poi c’è la questione delle iraniane e degli iraniani che non stanno col regime khomeinista, in nessuna delle sue correnti. Era quasi ironico l’altro giorno leggere che il Consiglio dei Guardiani ha ratificato la nuova legge votata nel Majlis che inasprisce le pene a tutela “della famiglia tramite la promozione della cultura della castità e dell’hijab”. Tempo di sicari.

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