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Piccola Posta

Il lungo anteguerra, termine che ha scandito il presente del Novecento

Adriano Sofri

Un tempo indicava una promessa, l'aspettativa dell'adempimento di destini nazionali e imperiali. Oggi invece fotografa uno stato talmente angoscioso da far ripudiare con disgusto anche coloro i quali sono stati invasi e forzati a battersi

Sabato scorso ero a Pisa, alla Scuola Normale, che ospita l’Internet Festival. Contento per il luogo e la compagnia: Patrick Zaki, che sta per cominciare un dottorato in Normale, e tre giovani studiose di migrazioni, procedure di pace, comunicazioni, Chiara Milan, Elena Pasquini e Leandra Borsci. Il nostro tema era quello, guerra e pace. In un punto, una delle interlocutrici ha nominato dei dati riferiti al dopoguerra. E d’un tratto la parola così usuale, dopoguerra, mi è sembrata strana e inquietante e destinata ad avvertire che ci troviamo nell’anteguerra


Ci ho pensato su. Dopoguerra è un nome facile da maneggiare, ha un ovvio significato cronologico, e ne prende uno meno ovvio quando indica uno spirito pubblico di rinascita, di recupero, in Italia specialmente, dove lo facciamo coincidere col miracolo economico. Il dopoguerra è un presente avvertito vitalmente, famelicamente, come tale. L’anteguerra è un passato. Ho controllato, salvo errore la parola fa la prima comparsa registrata da noi solo nel 1922. E’ riferita dunque alla Prima Guerra – salvo essere spodestata dal riferimento alla Seconda – così come le corrispondenti avant-guerre (che è femminile), pre-war, vor-krieg, preguerra… (ci sono parti del mondo in cui anteguerra e dopoguerra riguardano altre guerre, in altre date). L’anteguerra europeo, quello prima del 1914, prese dalla Francia il nome di Belle Époque, anche quello postumo, e nostalgico. C’era stato per l’Europa un raro periodo di pace, 43 anni – più breve rispetto a quello dopo il ’45, fino alla ex Jugoslavia, chi se ne ricordi, o all’Ucraina. 


E’ sempre dubbio se la pace sia un intervallo fra le guerre, o viceversa. Fu certo un intervallo la pace fra il 1918 e il 1939, e le due guerre come una sola nuova guerra dei trent’anni. Gli anni Trenta del Novecento furono in realtà segnati da un bullismo guerrafondaio, e costellati già, da noi, dalle brutali guerre colonialiste e razziste in Libia, in Etiopia, fino all’Albania. Allora si visse davvero in un anteguerra, e si pretese di farlo sentire come una promessa, l’aspettativa dell’adempimento di destini nazionali e imperiali


E oggi? Oggi l’Europa, vinta da un meraviglioso spirito imbelle, guarda attonita alla furia delle guerre che le esplodono dentro e attorno, come chi veda fallire il vaccino cui aveva confidato il privilegio della propria immunità. Anche quando erano vicine e immani, anche quando erano mezzo milione di morti in Siria e una risacca di scampati alle proprie rive, se ne credeva al riparo. Viveva in un dopoguerra senza fine, senza scadenza. Ora, non una guerra, non le guerre, ma “la” guerra, la minaccia, e le fa paura, solo paura. Non c’è nessun orizzonte di promesse e destini che la guerra disegni per gli europei, come per chi abbia, e se ne ricordi di colpo, il privilegio della pace e del benessere. L’anteguerra, così angoscioso da far ripudiare con disgusto e viltà anche coloro i quali sono stati invasi e forzati a battersi


Che cosa fa una persona, un popolo, un continente, quando avverte di non vivere più in un dopoguerra, in un tempo di pace, in una distanza, ma in un anteguerra sempre più accorciato? L’abbiamo usato solo a posteriori, il nome di anteguerra. L’abbiamo riservato a frasi come le bici d’anteguerra, le automobili d’anteguerra, le contesse d’anteguerra. Quanto al suo significato peculiare, l’abbiamo congedato. Mi sono ricordato di uno, un poeta, uno cui ero stato vicino tanto tempo fa, si chiamava Gianfranco Ciabatti, era nato nel 1936, è morto, dunque troppo presto, nel 1994. Sulla scorta di Bertolt Brecht e della sua “Kriegsfibel”, da noi “ABC della guerra”, che era un sillabario per immagini della Seconda guerra, Ciabatti scrisse per anni una rubrica di fotografie e poesie su una rivista, “La contraddizione”. Era intitolata “Abicì d’anteguerra”. E con questo titolo immagini e poesie vennero raccolte in volume, postumo, nel 1997, con una premessa di Sebastiano Timpanaro.  Ciabatti aveva deciso che il suo e nostro presente fosse un anteguerra. Ma lui era un poeta.