piccola posta
Fra marmo e mattoni, tifosi e “pellegrini”, cronache da Forlì a Bologna
Una visita alla mostra sui Preraffaelliti, la splendida Ebe di Canova e il mio amico Wlodek Goldkorn. Quelli del binario 3
Il mio impegno forlivese di sabato prevedeva un dibattito sui femminismi al palazzo della provincia, e una cena collettiva alla famosa casa del popolo di Branzolino (tagliatelle, mandorle tostate dolci – “son come il viagra” – canzoni). Maltempo minacciato, giornata di gran sole, e così la domenica, quando ho fatto il turista. Cominciando da piazza Aurelio Saffi (i triumviri della breve gloriosa Repubblica romana, Saffi Armellini Mazzini, più tardi sbagliando strada mi sono imbattuto nella sua casa natale). Avevo di scorta il libro Sellerio appena uscito sulle cattedrali (Marco Meschini, “Le pietre e la luce”) così sono andato dritto alla cattedrale e al suo campanile altissimo, 73 metri. E’ così grandiosa, in una piazza enorme, nel pieno centro della città, e però non è la cattedrale, è l’Abbazia di San Mercuriale, che fu primo vescovo. Prendo atto dell’errore, prendo i gradini che conducono al portale, e un’anziana signora, molto innervosita, mi apostrofa: “Sono le 9 e venti, e ancora non apre, e non c’è nemmeno un posto su cui sedersi”. Lusingato dall’equivoco, mi scuso – in effetti la rete dice che l’apertura quotidiana è alle 7. Arriva un custode con il giubbotto fosforescente, lascio la signora a lui e mi avvio a San Domenico, a visitare la mostra, di cui ho letto un gran bene, sui Preraffaelliti, e qualche ospite locale mi ha raccomandato ancora ieri sera. Il mio amico Wlodek Goldkorn e signora mi hanno preceduto. A San Domenico scopro che la mostra ha chiuso, non ieri, come succede, bensì il 30 giugno. Da quattro mesi. Bene, visiterò la pinacoteca, e San Domenico, che è a sua volta grandioso. “Wlodek, perché non mi hai avvertito?”. “Abbiamo preso la fregatura noi, allora anche tu. Comunque il museo è bello”. Bellissimo, infatti. E’ vuoto, al momento, se non per le giovani persone che lo custodiscono e guidano, molto brave e gentili. C’è una bellissima “Dama dei gelsomini” di Lorenzo di Credi, ma noi veniamo da Firenze. Mi colpisce per la sua energia un pezzo di affresco in cui un uomo robusto e accanito, preso di sotto in su, inquadrato in una specie di finestra cieca, impugna con le due mani una grossa mazza per infierire su una vittima di cui non si vedono le fattezze. Si tratta in realtà di un “Pestapepe”, e la mazza è “un gigantesco pestello” (che è una contraddizione in termini) e infierisce solo sul mortaio. Gran dipinto, già attribuito a Melozzo (da Forlì), oggi a Francesco del Cossa o alla sua scuola. Emilia e Romagna pullulano di città dal rango di capitali, c’è stata la gran scuola ferrarese ma anche una scuola forlivese, e ho appena letto che Rimini è in subbuglio per l’ipotesi che l’Alta Velocità preveda una fermata a Forlì. Bene, concludiamo la visita con la splendida Ebe di Canova, il quale ebbe parecchio a che fare con Forlì, e bighelloniamo ancora – il verbo ha improvvisamente preso una luce smagliante, e sapete perché. Nel confronto così italiano fra le città di mattone e le città di marmo – Siena fuori concorso, perché marmo e mattone vi rivaleggiano incomparabilmente – penso che forse Forlì merita di vincere la categoria del mattone, grazie al suo peculiare “rosso forlivese”. Devo ripartire, ho appuntamenti a Bologna. Un mio caro ospite mi accompagna alla stazione, sul cui atrio si affollano uomini in abbigliamento nero trapuntato di decori varii, e lo vedo farsi allarmato e sussurrarmi qualcosa. Il fatto è che io sono un po’ sordo, e gli chiedo di alzare la voce. Al terzo tentativo, mentre mi tira in là, capisco “pellegrini”. “Pellegrini?” – chiedo. “E’ il 26 ottobre, domenica, vengono dal pellegrinaggio a Predappio”. Il mio ospite è preoccupato per me, “Andiamo via, ti porto in macchina”. Mi viene da ridere, per la sua premura e per l’eventualità inattesa di un simile coup de jeunesse. Non mi riconosce nessuno, gli dico, e anche se fosse se ne fottono di me. Riesco a persuaderlo a lasciarmi andare al mio binario, grazie, alla prossima. Al binario numero 2 manca una ventina di minuti al regionale per Piacenza. Una donna aspetta leggendo un libro, mi interpella per sincerarsi della destinazione. Ed ecco che dal sottopassaggio un formidabile coro di slogan e canti precede l’avvento di uno stuolo nutrito e militante, giovani per lo più, molti impugnano aste di bandiere arrotolate, il marciapiede ne è di colpo riempito. La mia vicina chiede di che cosa si tratti. Non so, ma c’è qualcosa di inappropriato, costoro scandiscono e ostentano colori biancorossi, e hanno facce allegre. Chiedo a loro: vanno a Rimini, sul binario 3.
A notte, rincasato, guardo le notizie da Forlì. Al pellegrinaggio a Predappio saranno stati 500, leggo, e nonostante la recente sentenza indulgente non si sono sperticati in saluti romani. Quelli del binario tre avevano il derby di basket di A2, e nonostante il migliore dei nostri, Harper, ne abbia messi 38, alla fine il RivieraBanca Rimini ha battuto l’Unieuro Forlì per 81 a 73. Un po’ mi dispiace, ormai facevo il tifo per i biancorossi del binario 3.