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Gli scherzi, lo stile e l'arte di sapere rinunciare a una foto. Ricordo di Enzo Sellerio

Adriano Sofri

A Palazzo Steri, nella Sala Magna, ieri si è inaugurata, con un incontro pubblico fra i tanti amici e collaboratori, la nuova mostra dedicata al “fondatore e padre della casa editrice” nel centenario della nascita

Nel luglio del 2001 alcune centinaia di cittadini palermitani attentamente selezionati ricevettero un cartoncino d’invito al magnifico Palazzo Steri. In una elegante tipografia cancelleresca diceva: “Venerdì 20 luglio alle ore 19, nella Sala Magna di Palazzo Steri sarà inaugurata la mostra dei giovani pittori Simone Corleone, Francesco Danaro e Dareno Palermo. Gli artisti saranno presentati da Maurizio Calvesi”. Firmato “Giuseppe Salerno, presidente associazione Nuova figurazione. Cocktail”.

All’ora data, un certo numero di visitatori appassionati si radunò alle porte sbarrate del palazzo di Piazza Marina, per trovarci un foglietto infastidito del Palazzo, già dell’Inquisizione: a noi, diceva, non risulta alcuna mostra. Se ne fece un gran parlare, finché qualcuno si accorse che i tre “giovani” artisti erano in realtà i pittori che alla fine del Trecento avevano mirabilmente dipinto il soffitto dell’Aula Magna. Che il povero Calvesi non ne sapeva niente, e la Nuova figurazione non esisteva. In compenso, il firmatario dell’invito aveva il nome e cognome del cosiddetto Zoppo di Gangi, pittore delle Madonie famoso e prolifico tra il Cinque e il Seicento. Del Cocktail non ne parliamo nemmeno.

Scoperta, con un certo imbarazzo, la beffa, fu facile risalire all’autore. Farina del ricco sacco di Enzo Sellerio, che quando scherzava faceva sul serio, e viceversa: denunciava così le competenze costituite per la chiusura della Sala, l’inaccessibilità del capolavoro trecentesco – forse il più grande soffitto ligneo mai dipinto – l’assurdità di un pavimento di sedioline imbullonate…

Proprio allo Steri, nella Sala Magna, ieri si è inaugurata, con un incontro pubblico fra i tanti amici e collaboratori, la nuova mostra dedicata a Enzo “fondatore e padre della casa editrice”, nel palazzo restituito nel 2017 dall’Università a centro di esposizioni e iniziative culturali (la fondatrice e madre sta nel cuore di tutti). Nel centenario della nascita di Enzo Sellerio, Olivia e Antonio, e Palermo con loro, gli hanno dedicato una successione di mostre a tema – è in corso, all’Orto botanico, quella sui ritratti di artisti, “Chelsea Hotel e altri atelier” – murales e installazioni nei luoghi delle sue fotografie.

Ieri abbiamo avuto un’occasione per riascoltare le cose belle che altri avevano detto di Enzo, o lui di se stesso. Voglio qui citare il dialogo con Aldo Scimè (1924-2017), grande amico suo e, dall’infanzia a Racalmuto, di Leonardo Sciascia, nella festa per gli ottant’anni di Enzo. Scimè: “Si è ricordata la fotografia famosa di Enzo in cui alcuni bambini alla Kalsa ‘fucilano’ un altro bambino. Enzo ha tenuto a dire che era un gioco. Voglio ricordarne un’altra, di un fotografo di cui non dirò il nome, molto famoso, che si trovava in una piazza di Saigon, al tempo della guerra del Vietnam, e vide che in fondo alla piazza c’era una persona che si preparava a darsi fuoco: e fu preso dal desiderio di correre a dissuaderlo. Viceversa si fermò, impugnò la macchina fotografica e realizzò quella atroce, terribile fotografia, del monaco che moriva bruciato. Se Enzo Sellerio si fosse trovato lì quella mattina, cosa avrebbe fatto? Io sono convinto che lui avrebbe buttato all’aria la macchina fotografica”. Enzo Sellerio: “Mi è successo qualcosa di simile quando ho realizzato il servizio sul terremoto del Belice per la rivista Pirelli: ho visto una signora, poverina, che camminava con un fagotto immenso fatto di materassi, sulle rovine di Salaparuta; le ho fatto una fotografia, poi lei mi ha guardato e non ho più avuto il coraggio di fotografare”. Di quella meravigliosa fotografia della Kalsa ho sempre pensato che le bambine in ultimo piano, che guardano estranee e forse compatiscono lo scrupoloso plotone d’esecuzione dei maschietti, siano almeno altrettanto protagoniste della scena. Il punto di vista.

Citerò, da quella festa, un altro signore dell’editoria, Ernesto Ferrero (1938-2023): “Ho sempre pensato a Enzo come a una incarnazione dello Stile… La sola idea che stesse per farmi una telefonata affettuosamente ironica delle sue mi metteva l’allegria che trasmettono i quartetti di Mozart o di Rossini… Mi esilarava il suo côté dada. Siamo a Francoforte, un ottobre di tanti anni fa, la sera è difficile trovare posto in qualsiasi ristorante, con migliaia di editoriali alla carica. Finiamo in un locale cinese del centro, dove la calca è anche peggiore: decine di persone in ordinata attesa, in piedi nel corridoio. Lui agguanta un camerierino, tira fuori dal taschino una piccola calcolatrice, imposta complicati calcoli che danno come risultato il numero cinque. “Fünf minuten!” esclama allora sventolandogli sotto il naso le dita di una mano. Il piccolo cinese guarda la calcolatrice, guarda lui da sotto in su misurandone l’altezza ducale, poi si inchina premuroso. Dopo cinque minuti il tavolo era pronto”.

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