piccola posta
Quel tentato uxoricidio a Ginevra che avrebbe fatto sorridere Sciascia
Il piacere di tornare a Racalmuto per un anniversario, cinquant'anni da "Todo modo". E un caso di cronaca che sembra fatto apposta per ricordare lo scrittore siciliano. Remigio, il cugino e il complice. Storie vere dal mondo
Rileggevo Leonardo Sciascia, c’è un anniversario, 50 anni da Todo modo, che mi offre il piacere di tornare a Racalmuto. Rileggo anche la Nota in appendice al Contesto (1971): “Ho scritto questa parodia… partendo da un fatto di cronaca: un tale accusato di tentato uxoricidio attraverso una concatenazione di indizi che mi parvero potessero essere stati fabbricati, predisposti ed offerti dalla moglie stessa. …Ho cominciato a scriverla con divertimento, e l’ho finita che non mi divertivo più”.
Per un caso singolare, mi ero appena imbattuto in “un fatto di cronaca” – vera, nera – che sembra fatto apposta per ricordare Sciascia, e gliela dedico in memoria – se la memoria eccetera. E’ per l’appunto una storia di tentato uxoricidio, si è svolta in Svizzera, a Ginevra, la più internazionale delle città, e ha avuto infatti un cast internazionale. L’ho trovata su un giornale, e sono risalito, come la rete permetteva, ad altre cronache scandite nel tempo. I giornali svizzeri, che sia per una benintesa riservatezza o per una malintesa tutela della reputazione federale, non pubblicano i nomi e i cognomi (qualche soprannome sì) degli attori e delle attrici dei fatti giudiziari. Le loro cronache stanno alle nostre come una dieta liquida a una scorpacciata.
Siamo nel febbraio del 2012. C’è un signore, 55 anni, di professione gérant de fortune, uno cioè che amministra il patrimonio finanziario dei suoi clienti, che nel 1997 ha sposato una donna molto benestante, Nathalie, 47 anni, origine inglese, già dirigente di banca. Nel passato dell’uomo, com’è normale, relazioni precedenti, convivenze, figli, un divorzio. Passione per le Jaguar eccetera. Nel 2008 l’uomo, lo chiamerò per comodità Remigio, ha subito anche lui le conseguenze della crisi e della celebre truffa di Bernie Madoff. Il secondo matrimonio lo ha reso padre di due figli (di 10 e 11 anni) e, da un certo punto in poi, infelice. Tant’è vero che marito e moglie si separano, e inaugurano le pratiche di divorzio. Hanno ambedue le loro storie, piuttosto pubbliche. Peraltro lui non smette di fare dei regali alla signora, la quale è titolare, oltre che del suo personale patrimonio di 23 milioni di franchi (con la casa ginevrina e una a Crans sur Sierre), di una assicurazione privata per due milioni di franchi – in tutto circa 27 milioni di euro. C’è una divergenza sul regime di divisione dei beni.
Nel giugno del 2010 Remigio deve aver pensato di averne abbastanza, e di poter fare il colpo gobbo: liberarsi di lei, e incamerare il bottino. Sprovveduto nel nuovo campo, si rivolge a Duli, un amico della coppia, che giudica fidato e capace di compatire le sue ambasce. E’ un kosovaro, 45 anni, in Svizzera da un trentennio, e ha in città una rete di imprese commerciali di successo. Quando gli chiederanno se in due anni – tanto è durata la preparazione – abbia mai cercato di dissuadere Remigio dall’intento uxoricida, dirà di no. Dirà che Remigio per convincerlo gli ha detto di aver paura di perdere la potestà sui figli. Di fatto, i due si associano nell’affare. Si tratta di questo: fingere una rapina andata male, cioè bene, in quanto conclusa con la morte di lei.
L’imprenditore-mediatore trova un primo candidato all’esecuzione, il quale intasca un acconto e prontamente se la squaglia. Remigio si sente preso in giro, si capisce, e dà un ultimatum: entro la fine dell’anno. Duli contatta Tiki, un compatriota, 31 anni, cui subappalta la ricerca del manovale. Ma il 12 febbraio del 2012 Remigio ordina al suo mediatore di fermare tutto. Dirà che nel frattempo si era innamorato di un’altra e aspettava un figlio da lei. Duli, il mediatore, presto il Pentito, prima sosterrà, poi negherà di aver trasmesso il contrordine al submediatore, che intanto crede di aver trovato la persona giusta: suo cugino (d’ora in poi, il Cugino) e lo fa venire dal Kosovo. Ha 27 anni e una stazza fisica adeguata – altezza 1,96, peso 137 kg – non coadiuvata da lucidità e prontezza di riflessi, sicché alcuni sopralluoghi vanno a vuoto. Una volta lui e Tiki vanno addirittura dentro la casa della signora a fare alcuni lavori. Fino alla volta buona.
La sera del 19 febbraio – c’è stato senz’altro un disguido nelle comunicazioni – la signora sta rientrando da una vacanza in Austria alla vasta proprietà domestica, nel piccolo comune limitrofo di Chêne-Bougeries, quando viene assalita nel suo giardino dal Cugino. Il quale la riempie di botte, la ferisce al collo e a una guancia col coltello mancando di poco la carotide, e la strangola – “per tre minuti”: e la lascia lì, morta. Apparentemente. Il suo connazionale lo aspettava in auto, e insieme se ne vanno. L’autista dichiarerà di non essere stato complice: ha solo accompagnato e poi aspettato il Cugino, ritenendo che andasse a incontrare una sua bella. Solo qualche giorno dopo ha saputo che cos’era andato a fare. L’accusa ricostruirà che erano andati a fare i loro sopralluoghi almeno una ventina di volte. Il compenso pattuito era di centomila franchi per i due intermediari e duecentomila per il Cugino.
Nei “dieci minuti” dell’assalto del Cugino a Nathalie, Remigio è in casa e sente gridare, ma non dà l’allarme. Non aveva capito che era sua moglie, dirà. Va a prendere la sua pistola e si mette sulla porta: da lì, commenterà qualcuno, potrebbe fare secco il Cugino che ha ammazzato la moglie, e intestarsi il delitto perfetto. Magari il pensiero è venuto anche al Cugino, che lo vede sulla porta con la pistola.
La disgraziata Nathalie riprende i sensi, le sta addosso il suo bulldog. Una domestica (clandestina) di vicini l’aveva sentita gridare, aveva pensato a uno stupro, anche lei era stata zitta salvo pregare il suo angelo custode: non pensava che fosse la signora, dirà, perché i due chihuahua di Nathalie non hanno abbaiato. Nathalie ritiene di essere stata bersaglio di una rapina: ma la sua borsa è lì. I poliziotti fanno presto a sospettare quel Remigio che dice di essere restato in cucina a lavare i piatti, e solo dopo è uscito a raccogliere la moglie coperta di sangue, ed è, probabilmente, sbiancato.
L’indagine però segna il passo, come si dice, fino a che il Cugino in un bar cittadino esplode per futili motivi un colpo di pistola contro degli avventori. Qualcuno se lo vende, e viene arrestato. Il suo Dna è quello dilapidato su Nathalie: non aveva pensato nemmeno ai guanti.
Remigio è arrestato dopo mesi dal fatto, in luglio. Prima nega. Poi escogita una tesi parecchio azzardata: il piano era di simulare un innocuo tentativo di sequestro, così che Nathalie, spaventata, si rassegnasse a vendere la casa a beneficio comune. Infine passa a una tesi azzardatissima – Sciascia ne avrebbe sorriso: forse, insinua Remigio, Nathalie aveva avuto sentore del piano di lui e in combutta con gli altri aveva deciso di ritorcerglielo contro. L’aveva finta lei, aggressione e morte. “Mi chiedo se non sono stato io la vittima”, disse al procuratore il povero Remigio. I difensori di Remigio diranno che era gravemente depresso.
Il Cugino – che le cronache chiamano il colosso – protesterà contro l’idea che abbia tenuto per morta la donna. Ci avrei messo pochi secondi, dice quasi offeso. Dice che mentre era intento all’opera aveva rinunciato. Al procuratore aveva detto che a quel punto “aveva pensato a sua madre”.
La fine è fin troppo ovvia. Le pene dei quattro uomini, tutti in galera, sono state aggravate in appello nel 2017, dopo che la Corte federale aveva giudicato troppo clementi quelle di primo grado. Remigio da 14 a 16 anni. Il Cugino da 13 a 15 anni. Il complice, Tiki, da 9 a 12. Il mediatore e pentito, da 7 a 11 e mezzo. Nathalie ha lasciato la Svizzera e l’Europa, vive in Brasile, in un luogo di mare e di sole.