Il post tratto dal profilo X di Extinction Rebellion

piccola posta

La repressione della nonviolenza agisce come pedagogia della violenza

Adriano Sofri

Chiunque capisce che nel denudamento e nella ginnastica imposta alle fermate a Brescia c’è un intento di umiliarle. Ma non dobbiamo dimenticare che la perdita di dignità è inflitta a se stesse dalle poliziotte autrici della procedura

Della foia incontrollata di stato di polizia c’è una sola cosa su cui contare: la renitenza delle polizie a farsene coinvolgere. Brescia: prima una giovane donna, poi le altre, raccontano di essere state trattenute per ore – sette, mi pare – di essere state forzate a denudarsi completamente, assorbente compreso, e a eseguire i piegamenti – tre, mi pare – sulle ginocchia, che nell’occasione sono magnificati dal nome di squat. Veniamo ai dettagli. Le donne e gli uomini che manifestavano davanti alla sede di Leonardo Spa (“Sistemi di difesa”) erano scrupolosamente non violenti, salvo che la nozione di violenza si allarghi a contenere delle macchie di vernice lavabile, a spese dei macchiaioli. Fermate e fermati in questura, ai maschi viene riservata una perquisizione d’ordinanza, le mani passate sul corpo vestito, alle donne la perquisizione corporale, nude e coi piegamenti. Alla denuncia di una prima giovane donna, che peraltro ha rifiutato di obbedire (“obbedire“!), c’è una prima tentazione di negare. Poi, di fronte all’innegabilità, la polizia ammette, e sostiene che la procedura è avvenuta nel rispetto delle regole e della dignità delle persone. Le regole autorizzerebbero a verificare se i corpi delle manifestanti occultino dei corpi di reato, atti a nuocere all’incolumità della polizia, o a confermare il reato di cui sono accusati. I piegamenti servono a far fuoruscire dagli orifizi, nel caso di donne, armi o altri congegni (un barattolo di vernice nel culo? ovoli di eroina?). Il solo fatto che all’indomani giornali e altre sedi ospitino opinioni e discussioni sulla questione è un oltraggio al pudore dell’intelligenza. Aggiungo il dettaglio più rilevante. Chiunque capisce che nel denudamento e nella ginnastica anale imposta alle fermate c’è un intento, più o meno sadico, voluttuoso e pedagogico, di umiliarle, di abbassarne con la biancheria lo spirito, di fare dei loro corpi esattamente corpi di reato. Attività che non deve far dimenticare l’umiliazione e la perdita disgustosa di dignità inflitta a se stesse dalle poliziotte autrici della procedura. Che sia Bolzaneto o Brescia, la vergogna è su loro. Questo viene prima della ovvia illegalità del loro comportamento, e delle giustificazioni dei loro superiori. La larga dispensa dei fogli di via perfeziona la violenza dell’autorità.

Ciò è avvenuto su persone libere, e non violente – che hanno al contrario nel loro statuto la disposizione a subire le conseguenze legali (legali!) delle loro proteste – nel momento in cui si vuole imporre definitivamente la norma che considera reato la disobbedienza passiva da parte di persone private della libertà, detenute in attesa di giudizio o per scontare una pena. La disobbedienza passiva, cioè il modo di manifestare la difesa dei propri diritti rifiutando la violenza. Il traguardo cui le lotte dei detenuti e di chi solidarizza con la sopravvivenza della loro umanità hanno teso a caro prezzo, in una condizione materiale e morale così esasperante da valere come un’istigazione a fare fuoco e fiamme.

La morale è che la repressione, compiaciuta per di più, della nonviolenza agisce come un incitamento, una pedagogia, della violenza.

Ho un dettaglio contingente. Si ammoniscono i manifestanti violenti in nome di Ramy, alla probabilità che favoriscano l’incidente in cui ci scappa il morto. Giusto. Solo che il morto ci è già scappato. E non stava nemmeno scappando lui, seduto com’era sul sellino posteriore. E’ scappato, il morto, agli inseguitori: in tutti i sensi.

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