piccola posta
Una guerra civile tra israeliani è una prospettiva più minacciosa del confronto col nemico
Israele potrebbe rischiare il confronto fra due eserciti interni una volta che il ricordo del 7 ottobre non sarà più rovente per la prigionia dei rapiti. Prepariamoci al futuro
Ora tutti dicono, e molti sembrano pensare, che il cessate il fuoco, così come è stato disegnato, avrebbe potuto essere accettato molto tempo fa, e risparmiare morti, feriti, distruzioni, e anche le vite degli ostaggi e le loro sofferenze. Per giunta, si dice, e del resto si era detto dall’inizio: la distruzione completa di Hamas non era possibile. Le nuove reclute di Hamas (17 mila? 25 mila?) hanno almeno eguagliato il numero dei miliziani uccisi o catturati e messi fuori combattimento. E come si impedirà a quella maggioranza di bambini e adolescenti segnati dalla guerra di ricordare Hamas come la propria bandiera?
A queste considerazioni si oppone il realismo, o il cinismo - coincidono - della ragione politica. Il prolungamento della guerra ha permesso di indebolire e umiliare Hezbollah in Libano, di tarpare le ali, e se non altro le difese antiaeree, oltre all’orgoglio, dell’Iran, e di colpire la Siria fino a rendere possibile il cambio di regime e la cacciata di Assad. Altrettanti fatti compiuti che spostano i rapporti di forza dal lato dell’occidente, benché ad avvantaggiarsene siano anche concorrenti come la Turchia. E soprattutto preparano la strada o a un’apertura dirompente del regime di Teheran, o a un regolamento militare finale del nucleare iraniano. Questo bilancio è il punto d’arrivo della durezza di Netanyahu, che l’ha progressivamente fatto emergere dall’angolo in cui era prima del 7 ottobre e ancora di più nel periodo immediatamente successivo, quando la sua corresponsabilità non era stata ancora ridimensionata dall’oltranza della guerra, e che oggi gli impedisce di continuare nell’oltranza. Il suo governo è nudo, e gli espedienti cui i vari attori si affidano non mirano a impedire o sabotare ancora l’accordo, imposto ormai senza condizioni, ma a prenotare il posto dal quale misurarsi nel prossimo futuro. Ben Gvir che esce, Smotrich che si fa firmare un impegno a trattare la tregua come carta straccia, Netanyahu che cerca di sciogliersi dal condizionamento dei partiti meno smodati, segnalano una prospettiva altrettanto e più minacciosa del confronto con i nemici esterni: quella di una guerra civile tra israeliani. Che l’Anp sia in grado, con qualunque stampella internazionale, di assicurare un governo della Striscia e di tenere a bada le risorgenze jihadiste, è la più azzardata delle previsioni. Che lo sia tenendo testa, oltre che ai disegni di ritorno dei coloni nel nord di Gaza, all’espansione dei coloni in Cisgiordania, e ottenendone il disarmo, sembra impossibile. Una volta che il ricordo del 7 ottobre non sia più rovente per la prigionia dei rapiti, i vivi e i morti, e il sentimento del paese non ne sia più tenuto in ostaggio, Israele rischierà il confronto fra due eserciti, armati l’uno contro l’altro. E se succedesse, il resto del mondo non si dividerebbe più in favore o contro Israele, ma dovrebbe scegliere. Come avrebbe dovuto fare prima del 7 ottobre. Quello è un prima che può essere invocato senza ipocrisia né cinismo, per prepararsi al futuro.