piccola posta
La pecora smarrita e la scandalosa contrapposizione che l'accompagna
Ripensare alla meravigliosa parabola mentre si liberano ostaggi e prigionieri tra Israele e Gaza
E’ meravigliosa la parabola della pecora smarrita. Le parabole.
Nel Vangelo di Luca, il pastore lascia le altre novantanove “nel deserto”. Si mette alla ricerca di quella sola, la trova, se la mette in spalla, va a casa e invita amici e vicini a fare festa. Ma come, direbbe un ascoltatore pedante, o uno di quelli, farisei e scribi, che stanno lì intorno a deplorare Gesù che si perde dietro ai peccatori: ma come, torna a casa, e non va prima a riprendere il gregge nel deserto? Ma ci sarà andato, il racconto non ha bisogno di registrare tutti i dettagli, quello che gli premeva è di dire che nessuna pecora dev’essere perduta, e che proprio perché si è perduta è più preziosa e cara. Così la morale che se ne trae è più nitida: “Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
Nel Vangelo di Matteo, la domanda di Gesù è pressoché la stessa – se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove per andare a cercare la perduta? – ma ora le novantanove vengono lasciate “sui monti”: in una situazione meno strenua e pericolosa del deserto, dove si muore di sete fame e agguati, e tuttavia anch’essa dura, i monti sono irti di rischi. Matteo continua dichiarando che se la troverà, si rallegrerà per quella sola più che per tutte le altre che non si erano smarrite. La morale di Matteo ha una forma diversa, perché la pecora smarrita e ritrovata sta al posto del bambino cui somigliare per convertirsi: “Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli”.
La terza formulazione della parabola sta nel Vangelo apocrifo di Tommaso, e dice così, più brevemente di tutti: “Il regno è come un pastore che aveva cento pecore. Una di loro, la più grande, si smarrì. Lui lasciò le altre novantanove e la cercò fino a trovarla. Dopo aver faticato tanto le disse, ‘Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove’”. Tommaso, o chi per lui, è più ingenuo e più coi piedi per terra, e sembra voler attenuare il paradosso del racconto – una contro novantanove! – e così promuove quell’una, la dispersa, al rango de “la più grande”. E poi, per confermare la predilezione del pastore per lei, gli fa pronunciare la prorompente dichiarazione di affetto: “Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove”.
E’ bella anche questa modulazione di argomenti e di sentimenti della parabola. Nella Bibbia, il cristiano Antico Testamento, l’immagine del pastore e delle pecore è frequente, e anche della pecora perduta – “non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza”, Ezechiele. Ma non c’è la scandalosa contrapposizione fra l’unica che si è smarrita e le altre novantanove: la minoranza di una contro la maggioranza del 99 per cento. Una specie di inversione della logica e del buon senso, per amore, e per amore del peccatore – della peccatrice. Scandalosa come la storia del figlio prodigo, che sarà raccontata fra poco.
Bene, avevo deciso di non dire niente dello scambio di ostaggi e prigionieri di domenica. Tre donne israeliane e novanta prigioniere palestinesi. La parabola della pecora smarrita non c’entra niente. Si è fatto festa, due feste.