Mattarella e Pahor alla foiba di Basovizza (Ansa)

piccola posta

Perché è importante quel monumento ai fucilati sloveni a Basovizza

Adriano Sofri

Quattro giovani furono condannati a morte dal Tribunale speciale fascista, e fucilati, il 6 settembre 1930. Un albero abbattuto dalla bora ha rotto la lapide che li commemora

Soffiava la bora sul Carso triestino nei giorni scorsi, e ha abbattuto un grande albero, un cedro, sul monumento ai quattro giovani, tre sloveni e un croato, tutti cittadini italiani, Ferdo Bidovec, Franjo Marušic, Zvonimir Miloš e Alojz Valencic, che furono condannati a morte dal Tribunale speciale fascista, e fucilati, il 6 settembre 1930, nel Poligono di Basovizza-Bazovica. La pietra dell’alto cippo e della lapide ne è stata rotta. E’ importante per molte ragioni quel monumento, e le ragioni non smettono di accumularsi, come gli odii e i rancori e gli opposti propositi di comprensione e convivenza. Sta vicinissimo al monumento nazionale della Foiba di Basovizza, che era un pozzo di miniera dismesso. Nel 2020 i presidenti sloveno e italiano, Borut Pahor e Sergio Mattarella, resero omaggio insieme ai due monumenti, tenendosi per mano. Fu un gesto simbolicamente fortissimo. Non sancì l’introvabile memoria condivisa, ma il rispetto reciproco e la disposizione a immaginarsi per una volta nei panni dell’altro. Dopo di allora, quel proposito si è ripetuto in rappresentanti di autorità pubbliche e in persone comuni, e si è ripetuta anche la cerimonia dell’anatema e del rancore. Eroi per la memoria slovena e croata, e già jugoslava, i quattro restano “terroristi” per il nazionalismo italiano. Avevano fondato un’associazione irredentista antifascista, mista di ingenuità e dedizione, “Borba”, che vuol dire Lotta. Avevano compiuto un primo attentato dimostrativo al Faro, e uno alla tipografia del fascista e razzista Popolo di Trieste, lasciando un foglio di Giustizia e Libertà con un discorso del Mussolini socialista sul ricorso all’esplosivo. Persuasi, avrebbero detto, che a quell’ora di tarda sera il giornale fosse deserto. Invece restò ucciso un redattore, e due feriti. Il Tribunale Speciale si installò teatralmente a Trieste. Mussolini sovrintese alla conduzione del processo. 12 coimputati vennero condannati a lunghe pene detentive. Il comandante della divisione militare rifiutò di inoltrare al re la domanda di grazia per i quattro. Vennero fucilati alla schiena all’alba del giorno dopo, al cospetto di 600 Camicie Nere. La notte della vigilia era stata trascorsa dal presidente del Tribunale Speciale, un generale, “con una donna che fu a lui offerta”, scrisse un informatore al capo della polizia. 26 sul totale di 31 condanne a morte del Tribunale Speciale fra il 1926 e il 1943 colpirono cittadini italiani di lingua slovena o croata.

La Borba, affine al Tigr (Trst-Istra-Gorica-Rjeka/Fiume), la più vasta e solida organizzazione nazional-rivoluzionaria e antifascista, era soprattutto triestina. I giovani congiurati, i primi caduti europei dell’antifascismo armato, si radunavano avventatamente nella casa di famiglia di Miloš, nel cuore della città, nel viale XX Settembre 87. Al civico 16 era nato Svevo.

Il “Comitato per le onoranze agli eroi di Basovizza”, presieduto dallo storico Milan Pahor, curerà la ricostruzione del monumento – e dell’albero, mi auguro – in tempo per l’anniversario, che segna anche gli ottant’anni dalla Liberazione. E questo è anche l’anno di Nova Gorica e Gorizia accomunate nella prima Capitale europea della cultura “senza confini”, che sarà inaugurata il prossimo 8 febbraio, con la partecipazione dei due presidenti. Un’altra sfida simbolica e anche paradossale: l’apertura di un confine storicamente feroce coincidente con la chiusura ferrea dei confini a nuovi nemici.

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