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La statua di Pavlov via da Kyiv. Il “palombaro” dell'anima troppo “imperialista”
Lo scienziato, celebre per il cane e la campanella, piaceva ai bolscevichi. Nella capitale ucraina, i responsabili cittadini, votando la rimozione del monumento già nel luglio 2023, hanno dichiarato che Pavlov “è associato alle narrazioni e all’influenza imperiale russa"
Dal 27 gennaio sono arrivate due immagini ucraine, fortemente evocative. La prima è quella della commozione di Volodymyr Zelensky nel tendone di Auschwitz. Gli attori, al servizio del copione, devono essere capaci di due espressioni: quella di chi piange e quella di chi non ha più lacrime. Zelensky disse di sé già un mese dopo l’invasione, dopo Bucha e Kramatorsk: “Non riesco più a piangere”. Quasi tre anni dopo, seduto tra la folla delle autorità, mentre le donne e gli uomini superstiti ripetevano con più forza la propria testimonianza, il proprio testamento, il presidente ucraino ed ebreo non è riuscito a non piangere. Ne aveva tutte le ragioni del mondo.
L’altra immagine viene da Kyiv, tutt’altro affare. E’ la statua di bronzo, dimensione naturale, di un uomo anziano, portamento e abbigliamento austero, gran barba e baffi, seduto su uno scranno accademico e imbragato sul pianale di un grosso camion. E’ il professor Ivan Pavlov (Rjazan’, 1849 – San Pietroburgo, 1936), premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1904, che viene rimosso dall’ospedale di Oleksandrivka, nel quartiere di Pechersk della capitale ucraina. I responsabili cittadini, votando la rimozione già nel luglio 2023, hanno dichiarato che Pavlov “è associato alle narrazioni e all’influenza imperiale russa; inoltre la sua scuola ha condotto esperimenti, spesso descritti come crudeli, sia su animali che su esseri umani. In particolare, gli esperimenti hanno riguardato ragazzini di strada fra i 6 e i 15 anni”.
Pavlov è celebre soprattutto per le ricerche e le scoperte sui cosiddetti riflessi condizionati, ed è considerato come un fondatore delle neuroscienze. La sua posizione personale rispetto al potere sovietico fu decisamente eccezionale: l’approvazione di Lenin, continuata loro malgrado dai successori, compreso Stalin, e il lustro internazionale che procurava al regime, gli permisero di continuare largamente le sue ricerche, e insieme di manifestare apertamente il suo dissenso e non di rado la sua irrisione sprezzante. Di essere amico di Bukharin e soprattutto di morire di vecchiaia. I suoi esperimenti resero proverbiale “il cane di Pavlov” e la campanella che ne regolava le reazioni. Il quasi coetaneo Michail Bulgakov (Kyiv, 1891 - Mosca, 1940), che era medico anche lui, gli si ispirò, oltre che all’esperimento di chirurgia sociale dell’“uomo nuovo” bolscevico, per il racconto “Cuore di cane”, 1925, in cui il professor Preobrazenskij tramuta con un trapianto di ipofisi un cane di strada in un uomo fallimentare, ladro e ubriacone e molestatore di donne e cacciatore di gatti, sicché deve riportare l’uomo fallito al cane. Bulgakov ebbe un’audace impazienza nel 1931, e scrisse a Stalin: “Nella letteratura russa, in Urss io ero l’unico lupo. Mi hanno consigliato di tingermi il pelo. Consiglio assurdo. Sia tinto che tosato, un lupo non assomiglierà mai a un barboncino”. “Cuore di cane” e “Il maestro e Margherita” sarebbero usciti, in Russia, mezzo secolo dopo la morte dell’autore.
Il pregio dell’antimarxista Pavlov per i capi bolscevichi stava nella conferma che pensavano di ricavarne all’ufficiale materialismo. Nel 1974 un materialista-engelsista-leopardista di genio come Sebastiano Timpanaro, in un passaggio per lui indulgente, citò, in conclusione del suo “Il lapsus freudiano”, il giudizio di Trockij sulla psicanalisi, “insigne per equanimità e acutezza”: “Gli idealisti ci dicono che ... l’anima è un pozzo senza fondo. Pavlov e Freud pensano entrambi che il fondo dell’anima è la fisiologia. Ma Pavlov, come un palombaro, discende sino al fondo e fruga attentamente il pozzo dal basso verso l’alto, mentre Freud sta sopra il pozzo e con sguardo acuto cerca di penetrarne le acque sempre mosse e sconvolte e di afferrare o di intravedere l’immagine delle cose giù in basso”. La figurazione è straordinariamente suggestiva, e può estendersi al famoso rapporto fra struttura e sovrastruttura, fra le fondamenta e i piani alti – tutto verticale del resto, alto e basso, luce e buio, il cerino su un oceano tenebroso…
(La suggestione dei percorsi scientifici opposti di Pavlov e di Freud, e l’augurio di un incontro a metà strada, mi restituisce il ricordo screanzato del tunnel segreto scavato sotto Sarajevo, dove s’incontrano a metà strada, curvi e affannati, i due antichi compagni di scuola, Fadil che esce e Nenad che rientra, ed esclamano all’unisono: “Dove cazzo vai!”). Intanto, il professor Ivan Pavlov va, solennemente seduto com’è, a un magazzino del Museo dell’Aviazione di Kyiv, con gli altri manufatti decaduti.