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Raccontare il "pensiero cagnolino" con il più antico degli espedienti letterari

Adriano Sofri

Recensire "Dries. I giorni del pensiero cagnolino" di Vittorio Zambardino con l'inversione dei soggetti e degli oggetti. Per esempio: “Ogni mattina porto fuori Dries per due ore”. Traduzione di: “Ogni mattina porto Zambardino fuori per un paio di ore”

Il mio vecchio amico e quotidiano dirimpettaio Zambardino, praticante precoce delle innovazioni tecnologiche e confidente in ogni genere di intelligenza, ha scritto una essenziale biografia di se stesso e di Dries, il suo cagnolino. A parte l’incubo del robocane, la tecnologia arriverà a tradurre pensieri ed emozioni di cani nel linguaggio degli animali umani e viceversa. Nessuno, e a maggior ragione nessuna, potrebbe vantare di conoscere Zambardino quanto e come lo conosce Dries; nemmeno Zambardino stesso, s’intende. (Del resto, chi può dire di conoscersi?). Può già succedere, alla buona. Dries può recensirsi (“Dries. I giorni del pensiero cagnolino”, Luca Sossella editore, pp. 150, 12 euro) grazie al più antico e semplice degli espedienti: l’inversione dei soggetti e degli oggetti. L’esempio, il più banale: “Ogni mattina porto fuori Dries per due ore”. Traduzione di: “Ogni mattina porto Zambardino fuori per un paio di ore”. Al Pigneto.

Ecco: “Pesa 100 chili – sul serio. Dodici volte più di me, circa. Si chiama Vittorio, non gliel’ho dato io, si chiamava già così quando l’ho preso. Sei anni fa, ne avevo uno e mezzo. Di cognome come me nel microchip, Zambardino. Avrà almeno 70 anni, 73 – gli anni degli uomini si calcolano così, 15 più 9 più 4/5 per ogni anno nostro, di piccola taglia. E’ come un cagnolino sui dodici anni. E’ debole, anche se di grandi dimensioni. Gli piace pensare per due: me e lui. Siamo in esubero, dice. Dice: che bestia che sono, mi fa ridere. Dice anche che fra me e lui c’è un lavoro a quattro mani, e mi fa ridere. A volte devo riportarlo prima a fare la pipì. Quando è seccato perché sono corso troppo lontano dice, con la faccia severa: “Io me ne vado”. Mi metto buono, per farlo contento: dove vuoi che vada, da solo? Dove non ci fanno entrare insieme, non andiamo. Non lo perdo mai di vista. Anche al buio. Dice che lo faccio felice. Anch’io mi trovo bene. Va a dormire presto, poi si sveglia a leggere. Alle 7 siamo fuori. Usciamo due, anche tre volte al giorno, anche 6 ore – è pensionato. Dunque rientriamo in casa due, anche tre volte al giorno – deve fare i suoi bisogni. Ci stiamo gran parte del tempo. Ha perso un figlio. Ha idee strane, pensa che i cani da tartufo siano grandi. Io sono, sarei, da tartufo. Dice, di sé e delle signore del parco: canaro, canare, gli piace il nome. Io come dovrei dire? Mi ha fatto castrare. Dice che gliel’hanno raccomandato tutti. Tutti chi? Non ho mai sentito un cane raccomandare una cosa del genere. Per i cani, e nemmeno per gli umani. Si è pentito. Sogna anche lui, qualche volta si agita, borbotta. Chissà che cosa sogna. Di tirare una pigna, forse. E’ una persona speciale, abbastanza, paragonato con gli altri in giro, ma anche a lui piace tirare le pigne, e io vado pazientemente a riprendergliele. E’ capace di tirare la pigna per un’ora e mezza. Ci mette mezz’ora a allacciarsi le scarpe. Passa parecchio tempo a scrivere, pensa che la differenza fra noi sia questa, che io non scrivo. O che la differenza sia che lui è disinteressato e io interessato: l’amore disinteressato gli sembra più forte. Sbaglia, ma va bene così. Io so che cosa scrive. Si lamenta del nostro quartiere, della monnezza, delle persone che si guardano in cagnesco (che ridere). Delle persone che fanno la spia se mi lascia senza guinzaglio. Della moda dei molossi incattiviti e tenuti da collari terrificanti. Ha paura per me, anch’io per lui. La vera cosa che unisce noi cani agli umani e agli altri animali è la paura. Non posso pensare con la sua testa. Mi regolo sui fatti: quando sbraita, in napoletano – è di Napoli, e del Napoli, spesso ci andiamo – contro certi vigili, certi spazzini, e certi padroni. Immagina una coesistenza pacifica e affettuosa fra noi cani e gli altri animali, compresi gli umani. Lo chiama Pensiero cagnolino, io lo chiamo Pensiero zambardino – noi bastardini andiamo pazzi per le rime. So che scrive anche della morte. Dell’amore e della morte. Della paura che io muoia prima di lui. O che lui muoia prima di me, e che dopo un po’ io gli mangi il naso per nutrirmi – mi fa ridere moltissimo. Non mangia più la carne, è specialmente triste per i maiali. A me dà carne di maiali, comunque. Questa è una vera differenza. Se facessero tutti così, non ci sarebbe bisogno di ammazzare tanti maiali e così terribilmente. I maiali hanno paura dalla nascita e sempre. E’ geloso. Se passa uno sconosciuto simpatico e gli faccio le feste mette su il muso – mi fa ridere. Però i bangla gli piacciono.

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