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piccola posta
Il mondo va in malora, ma almeno è tornato il vecchio tram di Opicina
I triestini vogliono un gran bene al tram azzurro che sale e scende dal livello del mare ai 330 metri del Carso. Otto anni di presente attesa. E se faranno l'ovovia?
Il mondo va in malora, porca malora, e con entusiasmo, da Marte alla Riviera di Gaza. L’aggettivo “provinciale” si fa poetico. Il 1° febbraio è ripartito il tram di Opicina. Era fermo dal 2016, dopo un disgraziato incidente: due vetture che si scontrarono nel tratto a binario unico. La canzone popolare sul tram de Opcina (accento sulla O), l’Openski tramvaj, lo dichiarava disgraziato dalla nascita – “E anche el tram de Opcina / xe nato disgrazià / vignindo zò de Scorcola / una casa’l ga ribaltà / Bona de Dio / che jera giorno de lavor / e dentro no ghe jera / che’l povero frenador”. Quell’incidente originario era avvenuto nel 1902, una carrozza ruppe i freni nel tratto ripidissimo di Scorcola e andò dritto contro la casa del signor Francesco Spehar, distruggendola. Le assicurazioni asburgiche di allora, quelle per cui lavorò Franz Kafka, funzionavano, e la casa fu ricostruita. I tre passeggeri che erano a bordo saltarono giù e non si fecero niente. Il guidatore, Antonio Sossich, si fratturò una gamba e morì dopo aver compiuto 101 anni.
Forse qualcuno in questi interminabili 8 anni e passa (“Gli austriaci fecero l’intera linea in un anno, e coi mezzi di allora!”) avrebbe voluto prendere l’incidente al balzo, e sbarazzarsi della vecchia cremagliera. Però i triestini vogliono un gran bene al tram azzurro che sale (e scende, quando uno sale l’altro scende, in un geniale esercizio di reciprocità funicolare) dal livello del mare ai 330 metri del Carso, e da sabato festeggiano in basso e in alto il tram redivivo – solo un vagone, per ora, poi saranno due, da marzo torneranno a essere tre. E in questa larga festa i commenti non rinunziano all’individualismo brontolone (“Par che i parti con la transiberiana. Anche sventolamento de fazzoletti bianchi”. “Sempre brontolar no posso più giuro”. “Ho fatto il militare a Opicina“), una squisita lettura. Pro e contro la brava cantante che legge le parole: “No la xe triestina!” “Vorrei vedere te, con l’elenco dei tram: col 2 se va a Servola / col 4 in Arsenal / col 6 se va a Barcola / col 5 in Ospedal / col 1 in Cimitero / col 7 alla Stazion / col 9 in Manicomio / col 10 in Canon”. “Spicca l’assenza di cartelli in sloveno… Per ora le iscrizioni sono in italiano e in inglese” (Primorski Dnevnik, trad. mia). Gli appigli non mancano. Uno soprattutto: il capolinea cittadino è stato spostato (provvisoriamente, speriamo) in piazza Dalmazia, appena a un centinaio di metri dalla sua stazione d’origine, dal 1902, in piazza Oberdan. Io, da lontano, sono di quelli dispiaciuti: sono affezionato all’albergo Posta, che sta davanti al bel capolinea coperto, edicola e bar (il nuovo è un gazebo di plastica, al primo refolo di bora volerà via, avvertono gli esperti volontari), e poi la piazza Oberdan, carica di storia, è anche il punto migliore per prendere tutte le direzioni della città. Comunque sia, il tram è tornato – con un estremo comico ritardo, perché due automobilisti distratti, o incattiviti, avevano parcheggiato sui binari (“povero la metteva là ormai da 8 anni, el sperava in usucapione”; “Tirare diritto doveva”; “El solito mona”; “El solito anarcoinsurrezionista”); 40 minuti, poca cosa rispetto ai treni nazionali. Il paesaggio si è rifatto vivo e meraviglioso (“Altroché ovovia!” “Quando parte l’ovovia i ferma il tram!”). E la canzone è stata ricantata, con la singolare attualità del suo ritornello: “E come la bora che vien e che va / i disi che’l mondo se ga ribaltà”. Dicono che è il mondo intero che si è ribaltato. Va’ in mona, Musk.