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L'amore ai tempi del 41-bis e la lunga attesa di un diritto già riconosciuto

Adriano Sofri

Il giudice Gianfilippi ordina al carcere di Terni di garantire con urgenza i colloqui intimi ai detenuti, come stabilito dalla Consulta. Realtà e astrazione, tra rinvii e silenzi

Fabio Gianfilippi (1977) è dal 2006 magistrato di sorveglianza a Spoleto e nel Tribunale di sorveglianza di Perugia. L’elenco corposo delle sue pubblicazioni, sul mondo penitenziario, la sorveglianza, l’esecuzione delle pene e le alternative, i diritti dei detenuti, testimonia la vocazione per il suo incarico, in troppi casi burocraticamente e fastidiosamente svolto in attesa di destinazioni più ambite. Lo scorso 29 gennaio ha depositato un’ordinanza riguardante il reclamo di un detenuto che si era visto rigettare dalla direzione del carcere di Terni la richiesta di svolgere colloqui intimi con la sua convivente, senza controlli a vista, “come ormai consentito dopo la sentenza Corte Costituzionale 20 gennaio 2024”. Il detenuto segnalava il tempo trascorso dalla sentenza, quasi un anno, e oltretutto la provata volontà “di genitorialità” della sua compagna e sua. La Direzione d’altra parte attestava che il detenuto, nella condizione del 4 bis - non ostativa secondo la Corte Cost. alla concessione dei rapporti affettivi - lavorava all’interno e teneva un comportamento encomiabile e infatti encomiato. Tuttavia ribadiva di avere ancora bisogno di tempo e di autorizzazioni superiori per rendere logisticamente praticabile l’incontro richiesto, senza precisare scadenze. Il magistrato Gianfilippi, con l’opinione del P.M. favorevole al reclamo, ha ricordato il giudizio della Consulta sulla “indifferibilità” dell’attuazione del provvedimento, e con esso “del volto costituzionale della pena”, e l’indicazione dettagliata dei modi provvisori di realizzarla. E ha affermato che il rigetto sine die comporta “un grave ed attuale pregiudizio al diritto all’affettività del condannato”. (Non occorre ripetere che “affettività” è la pudica denominazione del diritto, peraltro molto condizionato, delle persone cioè dei corpi reclusi a fare l’amore). In conclusione, il magistrato ordina alla direzione del carcere di provvedere “con la massima urgenza”, anche con soluzioni temporanee, prima che finalmente arrivino quelle “più strutturate”. L’ordinanza è depositata in cancelleria, e fissa entro 60 giorni l’adempimento.

Proprio ieri, i garanti piemontesi dei diritti dei detenuti avevano denunciato che nella loro regione, “finora, tutte le richieste di incontri intimi presentate sono state respinte”.

La decisione del giudice di Spoleto, e il favore preventivo del P.M., sarebbero superflui e ordinari senza l’ipocrisia e il cinismo burocratico delle autorità costituite, a cominciare dalle politiche. Poiché il riconoscimento di quell’elementare diritto è antico di decennii e la sua elusione altrettanto, sono invece molto importanti. Ieri ne dava notizia solo il Corriere in una colonna del bravissimo Luigi Ferrarella, che dava notizia di “due detenuti”.

Ora si può sbizzarrirsi a immaginare i pensieri più diversi di direttrici e direttori di carcere, di funzionari ministeriali, di benpensanti a piede libero e mente incatenata. Si può anche, chi sa, immaginare i pensieri della donna e dell’uomo nei due mesi che li separano da un appuntamento. Di lei io non so. Di lui sì, e della sua finestra, parole e musica: “Tu sarai la mia compagna, Maria / Una speranza e una follia”.

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