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Postilla al raffinato Ungaretti del 1923 (poi rinnegato) e alla copia fiorentina numero 314
Ancora sulla mostra inaugurata l’8 febbraio al Museo della Carta di Pescia, dedicata alla famosa edizione del 1923 del “Porto sepolto” di Giuseppe Ungaretti. Cose note che non erano abbastanza note, a partire dalla compromissione del poeta col fascismo
Caro Maurizio Crippa, grazie al tuo articolo di ieri ho saputo della mostra inaugurata l’8 febbraio al Museo della Carta di Pescia, dedicata alla famosa edizione del 1923 del “Porto sepolto” di Giuseppe Ungaretti. E del bellissimo catalogo che la illustra, curato da Edoardo Barbieri, con la prefazione di Carlo Ossola, per la storica edizione livornese Salomone Belforte & C., la stessa che, come qui si apprende, tirò le 500 copie numerate, sull’apposita carta a mano delle cartiere pesciatine di Enrico Magnani. Le cose note, a partire dalla compromissione di Ungaretti col fascismo, testimoniata dalla “Presentazione” di Benito Mussolini, uno dei “pregi” dell’edizione (allora e poi, perché il mercato antiquario e tanto più oggi quello delle nuove uscite librarie e cinematografiche va pazzo del nome del duce), non erano abbastanza note, fino ai capitoli incresciosi del rinnegamento di Ungaretti del “libro bello e anzi perfetto” (“quell’orribile Porto Sepolto curato a quei tempi… in modo perfettamente cretino, illustrazioni, carta e prefazione”, 1969), e della pratica di epurazione, di cui scrive Giovanni Sedita. “La storia di molti intellettuali italiani”. Viene da ricordare con rimpianto – lo fa lo stesso Ungaretti al momento di rinnegarsi – la prima edizione del Porto sepolto, uscita a Udine alla vigilia del Natale 1916, in sole 80 copie, alcune delle quali furono regalate dal poeta ai commilitoni.
Bello il libro del 1923 rimane, grazie al formato, alla carta e alle barbe, ai caratteri, e alle xilografie di Francesco Gamba – oltre che alle poesie. Te ne scrivo per un dettaglio che può avere qualche interesse per la diffusione di quelle 500 copie, i cui esemplari hanno raggiunto una stima ragguardevole nel mercato antiquario. Come scrive Piero Scapecchi, “il volume ebbe subito favorevoli recensioni, ma non certo il successo di vendite che Serra /l’editore/ si aspettava” – e quanto e più di lui Ungaretti. “Serra ricordò – si legge ancora – che, in caso di bisogno, vendevano copie del Porto ad Adriano Grande, allora funzionario del ministero della Cultura Popolare”. “Sembra… che il progetto non raggiungesse, anche per la parte economica, i risultati sperati e che il volume, divenuto un pezzo da librai antiquari, fosse proposto in deposito al triestino Umberto Saba, che lo rifiutò, restando così nei magazzini della casa editrice Alpes. Di questi ultimi sviluppi siamo informati dai carteggi tra Serra e Saba: il primo scrive al triestino il 30 giugno 1926: ‘Ancora nel ’23 pubblicai in una meravigliosa edizione le poesie di Ungaretti. I volumi sono depositati presso Alpes (a Milano). Scrivi… a mio nome, e fattene mandare un esemplare, in dono si capisce. Vedrai una bellissima cosa, anzi ti prego di darmene il tuo giudizio’ e Saba risponde (il 1° agosto 1931): ‘Caro Serra, di assumere per conto della mia Libreria tutta l’edizione del Porto Sepolto mi ha un po’ meravigliato: tu sai che la mia Libreria è strettamente antiquaria e che non ha nessuna organizzazione per vendere opere moderne… Spedirò̀ dunque la tua lettera alla Casa editrice Alpes, e speriamo che essa mi mandi le 15 copie. Di esse un paio spero di collocare fra gli amici (ma è il momento in cui nessuno ha soldi); per le altre farò un’inserzione a catalogo’. Gli esemplari dell’edizione finiscono nel mercato antiquario”.
C’è a Firenze, in centro, via Verdi, una libreria antiquaria che porta il nome del suo storico titolare, Vittorio, e tenuta da tempo dal suo erede, Gianluca Barsotti. Quasi mezzo secolo fa ero amico di Vittorio, suo modesto cliente e suo assiduo avventore. Comprai da lui la mia copia del Porto sepolto del 1923, che porta il numero 314. Non mi costò affatto cara. Vittorio, che se ne intendeva, me la vendette con una certa riluttanza, non per il prezzo. La sua libreria era ed è non grande, nemmeno sontuosa, e gremita. Ma aveva di fronte l’appartamento in cui viveva con la sua famiglia, che era anche il suo magazzino, e là mi mostrò il fondo nutrito di esemplari del Porto sepolto di Serra ’23, alcuni nel cofanetto di cartone, altri – come il mio – con una sopracoperta di velina. Non so dire quante copie fossero, non poche. Barsotti non ricorda che origine avesse quel fondo: forse il deposito Alpes? (Per quella casa editrice, presidente Arnaldo Mussolini, nel 1929 uscirono “Gli indifferenti” di Moravia, a spese dell’autore – di suo padre: 5.000 lire). Se il numero della mia copia non fosse casuale, vorrebbe dire che ben più di un terzo dell’edizione restò invenduto…