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Chi si ricorderà di chi ricorda Navalny

Adriano Sofri

Centinaia di cittadine e cittadini russi hanno reso omaggio alla tomba del dissidente nel moscovita cimitero di Borisov. Probabilmente erano i primi a sapere di non avere possibilità di incidere sul destino della Russia

Domenica, nel primo anniversario della morte di Aleksej Navalny, i suoi genitori, centinaia di cittadine e cittadini russi (1.500, intitola il Corriere), e gli ambasciatori di paesi europei, compresa l’Italia, del Regno Unito e degli Usa, hanno reso omaggio alla tomba nel moscovita cimitero di Borisov.

Diciotto stati avevano pubblicato una nota congiunta. Recita: “Nell’anniversario della morte di Aleksej Navalny, preceduta da anni di persecuzione da parte del Cremlino, esprimiamo nuovamente le nostre condoglianze alla sua famiglia. Ribadiamo che la responsabilità ultima della sua morte ricade sulle autorità russe. Un anno dopo, la tragica condizione dei diritti umani in Russia continua ad aggravarsi. Il Cremlino schiaccia il dissenso pacifico, conserva un clima di paura e mina lo stato di diritto, al solo servizio dei propri interessi. Mentre riflettiamo sulla duratura eredità di Navalny, continuiamo a stare al fianco della società civile e dei difensori dei diritti umani che operano instancabilmente per costruire un futuro migliore per la Russia al prezzo di un enorme rischio personale. Ci sono oltre 800 prigionieri politici in Russia, tra cui molti incarcerati per essersi espressi contro l’invasione illegale dell’Ucraina da parte del Cremlino e la brutalità mostrata nei confronti del popolo ucraino. I rapporti del Relatore speciale delle Nazioni Unite documentano quanti prigionieri politici vengono torturati, privati di cure mediche adeguate e posti in detenzione psichiatrica forzata. Siamo chiari: le autorità russe devono rispettare i loro obblighi internazionali e rilasciare tutti i prigionieri politici.

Australia, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Romania, Svezia, Islanda, Bulgaria e Regno Unito”.

Esattamente un mese fa, tre avvocati di Navalny, Vadim Kobzev, Aleksej Liptser, e Igor Sergunin, che erano già stati arrestati nell’ottobre del 2023 come “estremisti e terroristi”, sono stati condannati a pene rispettive di 5 anni e mezzo, 5 anni, e 3 anni e mezzo, oltre che all’esclusione per tre anni dall’esercizio della professione.

La nota internazionale era buona retorica, ma retorica. La stampa ha sottolineato come le centinaia di persone coraggiose che hanno sfidato, come piace dire, il gelo e la rappresaglia annunciata delle autorità, non avessero alcuna possibilità di incidere sul destino della Russia. Probabilmente erano le prime a saperlo. Sono andate là solo per testimoniare rispetto e riconoscenza a Navalny, e rispetto per sé stesse. Per quella parola sospetta e abusata, onore. Forse un giorno ci si ricorderà di loro, un giorno lontano. Forse nemmeno. A Roma, un piccolo gruppo di persone ha manifestato in memoria di Navalny al monumento a Giacomo Matteotti. Alla fine del suo intervento alla Camera del 30 maggio 1924, Matteotti aveva detto ai suoi compagni di banco: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Grazie all’anniversario del suo assassinio, quelle parole sono oggi un po’ più conosciute: cent’anni dopo.

Il 22 marzo 2022 Aleksej Navalny scriveva nel suo diario (“Patriot. La mia storia", Mondadori): “Trascorrerò il resto della mia vita in prigione e morirò qui. Non ci sarà nessuno a cui dire addio… Tutti gli anniversari saranno celebrati senza di me”.

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