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Piccola Posta
Sul titolo del Salone del Libro
"Le parole tra noi leggere" si intitolerà la Fiera 2025. Il titolo è tratto dal romanzo famigliare di Lalla Romano ed è preso in prestito dai versi di Montale. Riflessioni sulla leggerezza e sulla pesantezza, tra Italo Calvino e Simone Weil
“Parole, parole, parole”. Intervistato da Simonetta Sciandivasci sulla Stampa di ieri (“Le parole non sono importanti, perciò tra noi, leggere, cadono“) Stefano Bartezzaghi dice: “Da Calvino ci arriva un’indicazione fondamentale, bellissima: nella leggerezza c’è anche la pesantezza. Nel linguaggio normale anche di uno spillo si dice quanto è pesante, e non quanto è leggero, anche se uno spillo è leggero. Significa che la misura è la pesantezza. Calvino sovverte questo e dice che anche la leggerezza è una misura: non solo la pesantezza contiene la leggerezza, ma pure il contrario. Io recupererei questa qualità, perché così ci diventerebbe chiaro che la leggerezza ci permette di comprendere la complessità”. Leggermente, la conversazione costeggia le formulazioni dei diari di Simone Weil, in cui alla pesantezza è opposta la grazia, o la luce. “La Pesanteur et la Grâce”, era il titolo scelto dall’affidatario, Gustave Thibon (1947), poi in inglese “Gravity and Grace”, e nella versione italiana di Franco Fortini, in una singolare inversione, “L’ombra e la grazia”, Comunità, 1951. In quei pensieri, che devono continuare a mettere in soggezione, un’altra parola decisiva è: bassezza. Fortini diede una motivazione del suo titolo, suggestiva eppure indiscreta: “Quando tradussi questo libro, pubblicato in italiano nel 1951, fui a lungo perplesso per la resa del titolo. In italiano, la pesantezza pesa più della pesanteur; è semmai gravezza, lourdeur. Sarebbe stato meglio Il peso e la grazia? Certo è un peso di origine greca, più che il pondo o la soma dell’italiano letterario. Somiglia a quello che pende nel memorabile inizio di La persuasione e la retorica di Michelstaedter. Ombra, senza dubbio, tradisce la corporeità del sostantivo; spiritualizza, disincarna, è poeticistico. Ma è anche associato al contrasto luce-buio, rivelazione-tenebra. L’ombra è un portato della carne, dice Dante”.
“Le parole tra noi leggere” è il titolo che il Salone del Libro si è dato quest’anno, togliendolo al romanzo famigliare di Lalla Romano, 1969, che l’aveva preso da Montale, “Due nel crepuscolo”: ”...le parole / tra noi leggere cadono”. Montale fu contento del prestito a Lalla Romano. C’è un fascino nei versi mutilati del loro predicato verbale. Vorrei scrivere una cosa solo per darle il titolo: “E voi, palme e cipressi che le nuore”. Mi sembra bellissimo, così privato, che le nuore di Priamo piantano. Oltretutto precede appena il più brutto verso dello splendido Foscolo, “di vedovili lacrime innaffiati”. Bartezzaghi mi lasci passare alla frivolezza, che denuncia come “la leggerezza cattiva”. Non ho ancora interpellato ChatGpt né altre risorse simili. E mi chiedo se il congegno sia fatto in modo tale da dare la stessa risposta a chiunque gli faccia la stessa domanda o gli proponga la stessa traccia, o se sia personalizzato, e regoli il suo svolgimento sulla singolarità dell’interlocutore - io, caso mai. (Io mi affretto a chiudere Siri quando si fa viva, e tolgo il saluto alle persone che la prendono a male parole). Insomma, ieri Annalena Benini, per “IL FIGLiO” (correttore, non correggere!) ha riferito la sua esperienza. Ha chiesto a ChatGpt il participio passato del verbo torcere. In un secondo, con sicurezza, è arrivata la risposta: “Il participio passato del verbo torcere è: torciglio”. Poi, rimproverato, il congegno ha peggiorato e banalizzato le sue prestazioni (”...torciuto”, e così via) e ha fatto una figura barbina, aggravata dal servilismo mellifluo: “Grazie per la tua pazienza e per avermelo fatto notare”. Comprensibilmente Annalena se n’è indignata e ha deciso di non rivolgergli più la parola. Ma quella prima uscita era invidiabile, e ho rimpianto che non fosse successo a me di suscitarla e intestarmela. Un Salone, o un’altra iniziativa di grido, che scegliesse quella intitolazione, non potrebbe non avere un gran successo: “Il participio passato del verbo torcere è: torciglio”. Tutti i posti andrebbero esauriti (e mi sederei, al solito, dalla parte del torto).