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Piccola Posta
L'antesignano del wokismo è sempre il proibizionismo
Lo schwa e l'asterisco hanno il bello di essere completamente facoltativi: si può scegliere di propugnarli o di deplorarli. L'unica cosa che rovina il bello è il proposito di proibirlo. La circolare del ministero dell'Istruzione sembra una versione romana delle proscrizioni lessicali di Trump
La cosiddetta cultura woke ha una lunga antesignana nella, chiamiamola così, cultura del proibizionismo. La concezione del mondo per cui quello che non è vietato è obbligatorio, e viceversa: quello che non è obbligatorio è SEVERAMENTE vietato. Nel suo punto culminante vieta alle persone di morire a modo proprio, cioè altrimenti, nei casi più fortunati, che precipitandosi da un ottavo piano. E, giù per li rami, proibisce alle persone di vivere a modo proprio, anche quando le persone si prendano delle libertà che non feriscano in alcun modo le libertà altrui. Ora un ministero in vena di carnevalate, forse incoraggiato – se ce ne fosse bisogno – dalle proscrizioni lessicali dell’Amministrazione Trump, ha statuito che “l’uso di segni grafici non conformi, come l’asterisco (*) e lo schwa, è in contrasto con le norme linguistiche e rischia di compromettere la chiarezza e l’uniformità della comunicazione istituzionale”. La prescrizione riguarda le “comunicazioni ufficiali”, e si appoggia ad autorevoli pareri della Crusca passati per la Cassazione eccetera eccetera. Sento da bene informati che nelle comunicazioni ufficiali non era mai successo che venissero usati asterischi o schwa, dunque l’executive order alla romana è una misura di prevenzione.
C’è una voluttà nella proibizione, incomparabilmente superiore a quella insita nell’autorizzazione, o nel suo vero contrario, il dono. Il Creatore ne fece esperienza fin dal dettaglio marginale alla munificenza del giardino dell’Eden, il frutto proibito. Un pubblico ministero che ci mise la coda. Io non ho fatto uso – così come di sostanze, per ragioni di età e ambientali – dello schwa e degli asterischi, e penso che non lo farò, non per vantarmene, ma per i ricordi e la sensazione di potermela cavare con mezzi tradizionali. Fui attratto dallo schwa – così, al maschile – da matricola, al tempo dell’indoeuropeo per l’esame di glottologia, quando si trattava di immaginare una vocale intermedia fra i e a: un caso di creatività inventiva soprattutto tedesca. Nelle sue vesti contemporanee, lo, o la, schwa, ha di bello di essere completamente facoltativo. Non solo si può usare o non usare, ma si può propugnare o deplorare. L’unica cosa che rovina il bello è il proposito di proibirlo. Ho scritto questo non per fedeltà a ideali come “Vietato vietare”: sono uomo d’ordine, maschio e fermamente contrariato dall’eventualità che si calpestino le aiuole. Quanto alla lingua, mi pare che tutto sia fatto in essa come un giardino, rigoglioso di intrecci, innesti, trapianti e fiori e frutti. E non come un recinto di funzionari ministeriali vogliosi di raddrizzare le gambe ai cani. (Ho appena letto che la gip ha respinto la richiesta della Procura di archiviazione e deciso l’imputazione coatta per Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, che aiutarono Massimiliano Salas ad arrivare in Svizzera: appunto).