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Piccola Posta

Schieramenti passati, emozioni presenti e conflitti infiniti

Siamo in clima d’anteguerra, persi in un’aura di falsa coscienza e desideri frustrati. Un'assurdità

Assisto quasi con l’allegria dei naufragi allo spettacolo, invano atteso da tante generazioni sovversive, del crollo del capitalismo per mano di Donald Trump, purché tenga duro e non si lasci tentare da sconti e negoziati: dazi al 104 per cento, o più, e la facciamo finita una volta per tutte. Nutro fiducia, anche per aver visto confermata la visione sulla Striscia di Gaza rapallizzata. Uno pensa a come si è dovuto arrabattare Putin per svuotare l’Ucraina da qualche milione di cittadini. Penso anche alla rapinosa retrocessione della questione ecologica, della seccatura ecologica, nominata ormai solo per essere irrisa – “il Green deal!”, com’era stato possibile un simile capriccio. La riduzione delle auto in circolazione, vero cuore del tracollo demografico: non di quanti bambini si impoverisce la terra, ma di quante automobili, bisogna allarmarsi e commuoversi. Le ribelli di Extinction arrestate e spogliate, la piccola risacca di un’illusione, che il mondo finisse in qualche decennio, scadenza di nipoti. Sgominata dalla campana della fine da un momento all’altro. Mi sorprende sempre che la guerra di Putin sia stata così fraintesa anche sotto il profilo ecologico: un paese smisurato di idrocarburi e poco più, il benzinaio con l’atomica, il più alieno alla conversione ecologica, dalla quale la sua fonte di sopravvivenza e di rapina sarebbe prosciugata, invade l’Ucraina e ne fa un ammasso di rovine tossiche, ricaccia indietro di decenni la riparazione dell’aria e delle acque, mette all’asta rottami e rifiuti tossici, e autorizza le democrazie evolute a degradare le premure per il riscaldamento globale e l’inquinamento a lussi superflui e comunque da accantonare: Non è il momento!


Osservazione che porta allo stallo della disposizione giovanile a ribellarsi in nome dell'interesse proprio e degli altri animali e delle generazioni a venire. I verdi tedeschi, i meno solubili, spostati sul campo dignitoso del sostegno alla libertà dell’Ucraina e anche dell'appoggio esterno a una maggioranza conservatrice che faccia argine all’avanzata paranazista. I verdi italiani (salve eccezioni) racconto d’appendice. Greta divisa fra gli impegni del futuro negato e quelli del passato che non passa, e comunque tratta in arresto. Ci si accontentava di una moratoria sul clima, ci si rassegna a mettere in mora la moratoria.  E “i giovani”. Gli studenti sono protagonisti coraggiosi e creativi di grandi mobilitazioni, capaci di attrarre il prossimo. L’esempio turco, provocato da un prepotere che ancora una volta non si è figurato l'obiezione, l’audacia di chi ha tutto da perdere. L’esempio serbo, vasto, fantasioso, che da mesi mette insieme da un capo all'altro della repubblica enormi manifestazioni e promulga a Niš il suo Editto, serio e spiritoso, sulla scorta di quello di Costantino che a Niš era nato. Il governo si è dimesso a vanvera, e intanto il presidente Vucčicć si barcamena, e appoggia il capobanda secessionista della Republika Srpska, Milorad Dodik, l’apologeta di Srebrenica. Che appena colpito da un mandato d’arresto internazionale va a trovare Putin, come si usa. Gli studenti greci si muovono allo stesso modo – in Serbia era stato il crollo di una pensilina a Novi Sad, fatta per rubare e ammazzare, in Grecia la difesa dell’università pubblica e poi l’impunita dolosa strage ferroviaria del 2023. E così via. 


E “i giovani” in Italia? Richiamo un aspetto della situazione di oggi, a confronto con la vigilia del Sessantotto. Allora i sondaggi – forse non si chiamavano nemmeno così – registravano una gioventù tutta casa e chiesa: eppure si muoveva. A sommuoverne le avanguardie e preparare l’esondazione, che stupì loro e se stessa, fu lo sdegno e l’emozione per il Vietnam. Il Sessantotto degli studenti la trasferì all’interno, per passarla presto ai giovani operai immigrati – “Agnelli, l’Indocina / ce l’hai in officina”. (E, pro memoria: “Ma se questo è il prezzo / vogliamo la guerra… / Voi gente perbene che pace cercate…”). Qualcosa di simile accade forse oggi, e la mobilitazione studentesca e giovanile, rifluita in apparenza quella dei Fridays, episodica benché fortemente motivata quella per le crudeltà contro i migranti e gli abusi del decreto sicurezza, si è fatta forte della solidarietà con la Palestina. Si consideri pure il retaggio bastardo di pregiudizi “sovietici” e antiamericani, nel caso dell’Ucraina, anti israeliani o antisemiti – o supposti antisionisti – nel caso di Israele, è un fatto che l’enormità, indifferente alle divergenze di calcoli, delle uccisioni, mutilazioni e distruzioni di Gaza, abbia segnato un cambio di scala e di intensità al sentimento delle persone, di una moltitudine prevalentemente estranea all’eredità di schieramenti passati. Chi ammoniva a smascherare il cinismo di Hamas davanti alla sofferenza della gente di Gaza, non ha voluto riconoscere che si era superata una frontiera: che era troppo. E che quel troppo non ha fatto che crescere, togliendo il respiro. Qui non intendo sostenere una tesi. Solo suggerire che in un paesaggio così compromesso e pregiudicato una larga ribellione di studenti e giovani sembra avere il solo orizzonte della parola d’ordine della pace: perché sì. Sono passati da un lunghissimo Dopoguerra a un brusco spaventoso anteguerra. Come possono dei giovani non desiderare la pace – fino al punto di ripudiare chi si batte contro un’invasione, o di simpatizzare con chi proclama la guerra santa e la distruzione del nemico innaffiata dal sangue dei propri martiri? Lavorarci, alla pace. Per esempio, anche se il Papa, anche se il sacro collegio, non hanno voluto andarci, sul fronte in Ucraina, da una parte o dall’altra, e noi nemmeno – noi, dico, non “i nostri figli” – proviamo a ripensarci. C’è una prossima volta, e ci sono le volte scorse, ancora vive e moribonde. Non a curare le ferite, a farle smettere.


Siamo in una piena aura di falsa coscienza e di desideri frustrati: maggi radiosi e diserzioni orgogliose. Si litiga sulle somiglianze col primo anteguerra o con gli anni Trenta, si evoca la Sarajevo del 1914, si elude la somiglianza col primo Dopoguerra e si omette la memoria della Sarajevo del 1992-96. La storia è maestra di tutto e di niente – ammaestrata. Una bella ed educata manifestazione civica, o di più, una dichiarazione d’amore per l’Europa, un po’ idealizzata come dev’essere la dama col fazzoletto, e una più grande e accesa manifestazione di amore per la pace, equivoca e sincera, con oratori e oratrici, alcuni, equivoci e bugiardi, è vero che non si escludono – non inevitabilmente, almeno. A Bologna poi, manifestazione dignitosa, parole più aperte, gente poca ma abbastanza, vento e freddo. Se ne indice un’altra, non nomina l’Ucraina, nomina Gaza, si dice “contro la guerra, TUTTE le guerre”. Occorrerebbe una controprova, pur solo teorica, una manifestazione “per la guerra, per TUTTE le guerre”. Che assurdità. Infatti.