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Piccola Posta
Basta poco, a Odessa, per ritrovarsi di colpo in mezzo alla Storia
Sono atterrato poco dopo la partenza di Zelensky e Mark Rutte, che si sono incontrati. Vado in giro per fare una ricognizione, un riconoscimento. La città sembra vuota, ma non è solo per il vento che tira: è stata svuotata
Odessa, 16. Basta muoversi un po’ e si ha la buffa impressione di trovarsi dentro la Storia. Sono atterrato a Chisinau poco dopo che ne decollava il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Sono arrivato a Odessa poco dopo che ne era ripartito il presidente ucraino, Volodymir Zelensky. Si erano incontrati, avevano visitato un ospedale colpito e i suoi feriti, avranno parlato del porto e del mare, e Rutte aveva ribadito il sostegno incrollabile. Ribadire incrollabilmente è il minimo: una volta che resti solo il verbo o solo l’avverbio, le cose si mettono al peggio. Intanto era scesa la notte, e le forze armate russe hanno ribadito le loro incrollabili spedizioni di droni, una specie di castigo all’incontro diurno fra i due alleati, droni dunque più numerosi e rumorosi. La notte, più di due ore continuate, fu piena di lampi, di scoppi. Poi son tornate le stelle, le tacite stelle. Una volta per tutte, sappiate che cosa si fa quando parte la sarabanda di sirena, droni, bombe, raffiche di contraerea: si gira la testa dall’altra parte per riprendere sonno, sacramentando, chi ancora ce la fa a sacramentare, dopo tre anni e passa. Il mio amico Roberto dice che lui non li sente più, e non sa se consolarsene o farsi vedere. Le consultazioni fanno passi avanti, dice una evitabile bionda alla Casa Bianca.
A giorno fatto, si va in giro per la città, una ricognizione, un riconoscimento. Tira un vento da bavero alzato, ma non è solo per questo che la città sembra vuota: è svuotata. Mi sono accasato di fronte al Teatro dell’Opera, passo a prendere i biglietti per il Gianni Schicchi, giovedì, alle 18: Puccini e Forzano e Firenze – andare in Porta Rossa, a comperar l’anello – siamo di casa. Ho due ricordi dell’aria O mio babbino caro, commoventi tutti e due: di Maria Callas e di Sergio Staino. Qui tocca a Julia Tereshchuk. Il Museo Archeologico, poco più in là dell’Opera, è ancora chiuso e protetto quanto alla collezione, ma ha una sobria mostra dei reperti archeologici di Zmiinyj, l’isola che noi chiamiamo dei Serpenti, lo scoglio dal quale fu salutata memorabilmente l’ammiraglia della flotta del Mar Nero colata a picco. L’isola, vi ricordate, era stata fatta emergere dalle acque da Teti, che volle farne la tomba e il santuario del proprio figlio, Achille, e figuratevi se voglio precisare che è una leggenda, con le notizie che circolano: è vero, e Achille ebbe il suo grande tempio di marmo più candido della neve, meta di pellegrini, e l’isola stessa di chiamò Leukà (per i romani Alba), bianca, forse per le ali degli uccelli marini, che la facevano avvistare dai naviganti. L’isola bianca nel mare nero. Quanto ai serpenti, forse erano le bisce tassellate portate dalla foce del Danubio, forse erano un omaggio alle metamorfosi di Teti. Una modesta teca conclude la mostra con il celebre francobollo, il guardafrontiera Roman Hrybov che saluta l’incrociatore col medio alzato e il fatale congedo: “Nave da guerra russa, vai a farti fottere!” (più esattamente, se doveste citarlo: “Russkiy voyennyy korabl’, idi na khuy”. Si immagina).
Una mostra interessante si è aperta martedì al Museo Letterario, dedicata a Sergej Lushchik. Raccontai una visita alla casa di Odessa, a Otrada, in cui aveva trascorso tutta la vita, alla sua venerabile vedova, a sua figlia e al loro cagnolino, in un gran magazzino domestico di quadri e libri preziosi. E’ morto, novantenne, nel 2015, dunque siamo al centenario. La casa era stata già di suo padre, Zenon Adamovich, gran collezionista di monete antiche per passione, per professione ingegnere ferroviario. Dal 1917, come succedeva, la casa divenne comune ad altre famiglie, a genitori e figli restarono una cucina e due stanzette. Aveva sognato di diventare uno storico. Odessa era occupata, suo padre sentenziò: puoi studiare quanto vuoi, non riuscirai a tenere il passo con le autorità. Qui la storia cambierà ogni cinque anni, riscritta a ogni cambio di regime. Anche Sergej diventò ingegnere, marittimo. Morto Zenon, vendette le monete e cominciò a comprare libri e dipinti, l’avanguardia dall’inizio del XX secolo agli anni Venti. Era un tipo coraggioso e acuto, odiava la tirannia dei capi sovietici, aveva, per così dire, tolto loro il saluto. Studiò e custodì i documenti dell’Archivio di stato e della Biblioteca scientifica, fu in contatto coi testimoni artistici e civili contemporanei, corrispose con le famiglie degli emigranti.
Fu grazie al suo lavoro tenace che vennero risarciti i nomi dell’artista e scrittore Mikhail Zhuk, del poeta Semyon Keselman, del poeta ed editore Veniamin Babajan, fucilato nel 1920, e del poeta perseguitato Orestes Nomikos. Scrisse dell’odessita Sergei Konstantinovitch Pankejeff, l’“uomo dei lupi” di Freud, e dei salotti d’arte organizzati da Vladimir Izdebsky a Odessa nel 1909-1911.
L’Ucraina è fortemente impegnata a far rivivere la memoria degli artisti e dei poeti del “Rinascimento fucilato”, la generazione di artisti e letterati degli anni Venti e dei primi Trenta a Kharkiv. Negli anni Venti, Mikhail Zhuk aveva dipinto numerosi ritratti di questi artisti. Quando tutti furono uccisi, anche conservare queste opere divenne pericoloso. Fu Lushchik, ostile a ogni nazionalismo, devoto solo al talento, a custodire tutto.