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Piccola posta

La morte del Pontefice di Roma nel rompicapo delle Chiese ucraine

Adriano Sofri

A Odessa la notizia della morte del Papa si diffonde lentamente tra chiese cattoliche, ortodosse e protestanti, riflettendo la frammentazione religiosa dell’Ucraina. Il dolore per la perdita si intreccia al dramma quotidiano della guerra e alla ricerca di umanità condivisa

Odessa, 21 aprile. La morte del Papa: continua ad avere una suggestione, questa espressione da proverbio. Viene voglia di dirselo, di sentirselo dire. Vado a vedere. In Ucraina, benché la rete dica il contrario, il lunedì di Pasqua non è festa, né religiosa né civile. Le Chiese cristiane qui sono un rompicapo, le ortodosse anche – nove patriarchi per la cosiddetta Chiesa greco-ortodossa, quattro riti per la cattolica – e le altre. La guerra e le obbedienze diverse, quelle nette e quelle che si barcamenano, hanno complicato ancora le cose. Decido di fare un giro completo: le sette chiese, per così dire. Passo prima dall’Assunzione, che è la cattedrale, e la chiesa madre della diocesi cattolica di Odessa-Sinferopoli. La trovo aperta, ma completamente vuota, c’è però, a lato dell’altare maggiore, sovrastato da una buona copia di Raffaello, un colonnino con la fotografia di Francesco e un mazzo di rose rosse. Finché sbuca da una sacrestia una suora non giovane, e piuttosto affaccendata. Ha sentito del Papa, certo, ci sarà una funzione stasera, alle 18. Ora non c’è nessuno, nemmeno il vescovo, dev’essere a casa di amici, dice. All’entrata c’è una signora che venderebbe candele e immaginette, se trovasse avventori, sa che è morto il Papa? No, non lo sa, ci rimane male, chiede quando è successo e come. All’uscita mio viene incontro un giornalista locale con un giovane operatore – c’è un sole estivo e lui tiene il cappuccio del feltro sulla testa, chissà perché. Il giornalista si illumina e mi viene incontro, contando di procurarsi finalmente un commento: gli spiego, mi dispiace, e ricade nella desolazione. Decido di andare alla cattedrale ortodossa, la Trasfigurazione, quella mezzo bombardata il cui restauro è missione del governo italiano, ed è ancora indietrissimo.

 

    

Venerdì ero qui alla processione del sepolcro, con la magnifica esibizione dei canti degli officianti. Oggi è aperto anche il tempio superiore, quello con le rovine, una signora lustra con scrupolo gli argenti – no, non sa del Rimsky Papa, il Papa romano – in alto, dalla voragine sulla cupola, volano chiassosamente i piccioni. Aspettiamo, la mia guida e io, finché viene fuori dalla sacrestia un giovane allampanato e ispirato, che mi cattivo esibendogli la fotografia che gli ho fatto nella processione di tre giorni fa, quando aveva addosso i sontuosi paramenti ricamati e i lunghi capelli sciolti – ora legati. Si chiama Roman, Non è pope e non è ancora sicuro di volerlo diventare, di sicuro vuole diventare teologo, se ci riesce, del Papa non sa, ora come ora non se la sente di pensare niente che non riguardi l’Ucraina, va a chiedere a qualcun altro: non trova altri, scusate. 


Visto che è vicina, proviamo alla vasta chiesa presbiteriana, restituita nel 1998 dopo aver servito da teatro di marionette sovietico, ma è chiusissima, e nessuno risponde al campanello. Di fronte c’è la piccola ma importante chiesa di San Pietro apostolo, tenuta dai salesiani: fu la chiesa dei marinai, a lungo l’unica restata aperta nel sud dell’Ucraina, dal 2019 nominata da Francesco basilica minore. Ora è chiusa anche lei. 

La prossima tappa è la fortunata: la cattedrale luterana di San Paolo. Chiusa, ma sul retro è aperta una saletta con un pubblico di una ventina di persone, donne le più, e dietro un tavolo uno schieramento ecumenico di oratori: un cappellano militare in uniforme, tre ministri del culto protestanti uomini e una donna, un prelato ortodosso e il vescovo cattolico che non abbiamo trovato all’Assunzione, perché era qui. Ci scherzano su: dobbiamo procurarci almeno un buddista, dicono. Non sono qui per il Papa, ma per discutere della questione dei riti funebri per i caduti. Le persone lamentano che le autorità militari impongano alle cerimonie funebri tempi ridotti al minimo: gli spari in aria, le bandiere inclinate in basso, e via. Dieci minuti in tutto – “Cinque, nei villaggi”, precisa una signora. Loro concordano che debba esserci una cappella dedicata nel nuovo cimitero cittadino, detto occidentale. Può darsi che le autorità militari vogliano limitare il lutto, oppure che temano gli assembramenti prolungati che possono offrire un bersaglio. Finito l’incontro, e fatte le foto di gruppo all’aperto, si può finalmente parlare del Papa Francesco. Il più giovane pastore luterano dice: “I conti con Roma io li ho fatti 500 anni fa, ma in effetti il Papa Francesco era un’altra cosa”. Il cappellano militare concorda, allude alla corruzione della curia romana, e dice che “noi ce ne intendiamo”. I giudizi sono unanimi, e ragionevolmente stereotipi: amava i poveri, i migranti, i carcerati. Il vescovo è un minorita, si chiama Stanislav Schyrokoradiuk, ha 68 anni, è stato già vescovo di Kharkiv e Zaporizhia. E’ grande, ha una faccia cordiale, e una biografia tipica, in seminario clandestinamente, prese gli ordini in segreto, quel passato là. I cattolici di Odessa, dice, sono circa ventimila. E’ molto difficile tenere insieme la diocesi con la Crimea e Odessa. Il vescovo è noto per la lingua franca. “Noi ucraini – disse fin dall’inizio – siamo le vittime della guerra, e i russi sono le vittime della propaganda: quando i loro occhi si apriranno, potrà esserci pace fra noi”. Fu più diretto quando il Papa Francesco si lasciò andare a rievocare “la grande Russia dei santi, di governanti, di Pietro I, di Caterina II…”. Il vescovo Schyrokoradiuk elencò le imprese per le quali quei governanti e il loro impero si erano macchiate d’infamia. Nei giorni scorsi aveva ammonito che “non ci si può aspettare niente di buono da Putin. Sta solo guadagnando tempo per accrescere il suo vantaggio”. Di Francesco dice solo parole affettuose, e grate. Conclude: “Ora rendiamo grazie, ha avuto 89 anni, una vita buonissima e bellissima. Siamo umani, tutti”.


Passo dalla chiesa cattedrale, ortodossa ucraina, della Santissima Trinità – quella del dipinto di Andrej Rublev, il più bello del mondo… Qui sta finendo una funzione, con un piccolo seguito di fedeli. Il celebrante è grande e solenne, si chiama Andreas. Sono trascorse parecchie ore dalla morte del Papa, ma non ne ha saputo niente. Sembra colpito, chiede più volte: “E’ morto?”. Mi dispiace per lui, oltre che per me. “Davvero, è morto”, dico. Sto citando senza volere le parole del rito pasquale ortodosso di ieri, domenica: “E’ risorto”. “Davvero è risorto”.

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